20 Aprile 2019

Mujeres verticales: Amelia Earhart

di Franco Moraldi
Le Ali Di Un Sogno. Chi era dunque questa donna e perché negli anni ‘30 del secolo scorso questa fama “globale”, pur in mancanza di social e twitter?

Forse sarà sfuggita ai più, ma lo scorso 8 marzo, proprio per la festa della donna, sui giornali comparve una notizia: in Italia Repubblica titolò: “Ci fu un errore: quelli sono i resti di Amelia Earhart. Svelato un nuovo tassello della morte dell’aviatrice”.

Il titolo già dice molte cose e, complice un film con Diane Keaton del 1994 (che guarda caso si chiamava “L’ultimo viaggio”), già qualcuno si ricorderà di  questa donna che 80 anni fa fece trepidare e sperare tutto il mondo.

Si sa che i miti muoiono giovani e Amelia non fece eccezione: scomparve (ahimè, in tutti i sensi) a 40 anni e che importa precisare che nacque oltre 120 anni fa nel Kansas, lei è rimasta per sempre quarantenne, longilinea con i capelli corti, sorridente verso l’obiettivo come ce la rimandano le molte foto e filmati dell’epoca.

Ma chi era dunque questa donna e perché negli anni ‘30 del secolo scorso questa fama “globale”, pur in mancanza di social e twitter? Beh, intanto non era esattamente un tipo ordinario: infermiera in Canada durante la prima guerra mondiale e poi semplicemente … pilota di aeroplano!
Neanche oggi troviamo donne pilota ogni angolo, immaginiamoci allora: e seppur è vero che fu la sedicesima donna americana ad ottenere la licenza di volo e nemmeno la più brava, i mass media cominciarono presto a volerle bene, snella e longilinea ragazza che -impresa dopo impresa - faceva dimenticare gli anni della grande depressione, conquistando record sull’ altitudine e sulle traversate, continentali e transatlantiche, in equipaggio e in solitaria.

Inevitabile il parallelo con l’altro grande pilota americano Charles Lindbergh che proprio negli stessi anni faceva sognare il mondo con la traversata New York- Parigi: giovani piloti belli e coraggiosi, e pure somiglianti, con quei volti aperti dall’ampio sorriso (un’anticipazione di JFK?): non a caso Amelia fu ribattezzata “Lady Lindy” come dire “Lindbergh in gonnella”.

Chi fosse poi solo un po' disincantato coglierebbe anche nella popolarità di allora di Amelia un bell’esempio di show business: c’è sempre una attenta e “moderna” cura dell’immagine dell’aviatrice nelle decine di filmati televisivi (ivi compreso il viaggio in una assolata Roma, pubblicizzato dall’istituto Luce) e nei numerosi articoli a lei dedicati sui magazine dell’epoca. Assai rilevante -of course- il connesso investimento pubblicitario: dalla valigeria alle sigarette il volto sorridente della testimonial pilota era una garanzia di affidabilità.

La sovraesposizione a livello mondiale di eleganza sportiva e di fascino quasi androgino di questa icona improvvisamente tacquero, lasciando il posto al registro drammatico. Nel 1937 inizia l’ennesima impresa: il primo giro del mondo realizzato da una donna, ma stavolta ci si affida un po' troppo all’immagine e forse un po' meno a ponderare le scelte tecniche, ad esempio sulla capienza dei serbatoi o sul sistema di trasmissione radio. L’unica cosa certa è che, durante una tappa sul Pacifico, dopo un messaggio radio dell’aviatrice star, il silenzio. Per sempre.

Disperso l’aereo si mobilitò il mondo: tutti, dagli Stati Uniti al Giappone ed all’Europa vissero con trepidazione il grande evento mediatico delle ricerche, subito attivate; decine di navi, ascolti radio da ogni angolo della terra, missioni militari (l’America spese nelle operazioni 4 milioni di dollari !), tutti con un unico obiettivo: ritrovare Amelia ed il suo navigatore.

E’ una storia americana sì, ma stavolta senza happy end: il risultato fu solo silenzio nelle trasmissioni radio, sulle varie isole perlustrate, sull’oceano sterminato sorvolato: nessuna traccia di Lady Lindi.

Nell’affannosa ricerca furono invero trovati in un isolotto resti umani ed oggetti che avrebbero potuto essere di Amelia, ma una verifica tecnica e medica escluse anche questo, sfumando il ricordo di Amelia nella leggenda fino a che, proprio l’8 marzo 2018 la notizia che ha fatto il giro del mondo: un approfondimento degli esami ed analisi più aggiornate hanno scritto la parola fine: sì, l’identità dei reperti è proprio quella della pilota.

Ora, forse, Amelia un po’ di pace comincia ad averla.