20 Luglio 2019

Mujeres Verticales: Simone Veil

di Franco Moraldi
Simone Veil avrebbe potuto essere descritt  addirittura senza neppure una parola: solo attraverso un freddo numero, il 78651 quello che le avevano assegnato ad Auschwitz

La figura di Simone Veil è stata talmente rilevante nel nostro tempo da meritarsi sicuramente questo appellativo, “Une reine en Republique” che, all’indomani della sua scomparsa, l’ha “fotografata” in uno dei tanti ricordi a lei dedicati in Francia.

Forse però Simone avrebbe potuto essere descritta in un altro modo,  addirittura senza neppure una parola: solo attraverso un freddo numero, il 78651.

Già, 5 cifre che non sono da memorizzare con difficoltà e magari salvare sul cellulare per non dimenticarle. Questo è un numero che resta per sempre nella mente e anche sul braccio di chi se lo è visto dolorosamente tatuare, in una fredda giornata polacca, ad Auschwitz.

E’ questa quindi la storia che andiamo a raccontare: quella di una figlia della buona borghesia francese, la generazione  più o meno quella dei nostri genitori,  4 figli di un papà architetto e mamma mai laureata in chimica perché le donne, via, è inutile che studino, meglio mogli e madri, no?

C’è però qualcosa in quei genitori che caratterizzerà la storia del XX secolo: i loro cognomi, Jacob e Steinmetz, ebrei oltre ogni ragionevole dubbio, tanto da decidere la vita di quella bella ed elegante famiglia che, rinchiusa nel 1944 nei campi di sterminio, vedrà sopravvivere solamente 2 persone, Simone, appena 17 enne e una sua sorella.

Ce ne sarebbe a sufficienza per annientare un titano, ma non questa figlia del 900, che pure titolerà la propria autobiografia “Una vita, una giovinezza ai tempi della Shoah”: ed ecco che  - combattendo contro lo stesso sistema che impedì alla madre di laurearsi- conclude Giurisprudenza e diventa magistrato, occupandosi delle condizioni di vita delle donne, in particolare di quelle in carcere. Seguirà poi un’ulteriore “vita” della Veil, quella politica, naturalmente nel Centro Destra; non si immaginerebbe certo scarmigliata femminista alla testa di un corteo, con quell’eleganza Dior (“da preside”, per dirla con Lietta Tornabuoni) eppure a questa raffinata mujer vertical si deve la legge che in Francia disciplina l’interruzione della gravidanza, approvata in un clima al calor bianco con la feroce opposizione sia della destra oltranzista (che arriverà a deporre sui banchi del Governo un feto in formalina e a dipingerle svastiche sul portone di casa) che della parte iper-ortodossa della gerarchia ebraica.

Ma la legge arriva in porto, e la Veil è pronta per la propria terza esperienza : diventa la prima Presidente del neo costituito Parlamento Europeo, eletto con la speranza di superare quei nazionalismi che hanno contribuito alle barbarie vissute anche in prima persona, proprio perché, come ha detto Macron nell’orazione funebre, Simone Veil “ha conosciuto il peggio del ventesimo secolo e si è battuta per renderlo migliore”.

Già,  Macron: a lui si deve la decisione di ospitare la salma della Veil (in una bara che riportava proprio quel maledetto numero, il 78651) nel Pantheon delle glorie francesi e dove avrà trovato madame Curie di cui ci occupammo recentemente.

Questa dunque fu e sarà Simone Viel, elegante borghese dagli occhi verdi (per Delon una bellezza che ricordava Romy Schneider ), che ha visto l’orrore dell’inferno e poi nei suoi quasi 90 anni di vita molte vittorie e tanti dolori, senza perdere quello charme d’oltralpe: autentica donna e combattente sia nelle prolusioni ufficiali al Parlamento che nel gesto di farsi accendere la sigaretta (lei, Ministro della Sanità!) da un galante Chirac.

Sempre gelosa della propria dignità ed autonomia, tanto da rifiutare la Legion d’Onore dicendo che non bastava essere stata in un campo di sterminio per meritarsela.

Adieu, Madame, ci saluti Marie Curie.