22 Settembre 2017

“La Pietatella”

di Bruno Marini
Il Principe Raimondo De Sangro di Sansevero e la  Cappella Della pietà, più nota come cappella Sansevero

La data di fondazione della Cappella Sansevero può stabilirsi intorno al 1590. Del periodo seicentesco è rimasto ben poco. L'architettura della facciata appare modesta e sobria. Alla cappella si accede anche da una porta minore che si apre sul vicolo detto Calata Sansevero. Su questa porta una lapide posta da Raimondo de Sangro a memoria dei lavori compiuti ammonisce i futuri visitatori a cercare sotto l'apparenza il significato nascosto di tali opere.

"Chiunque tu sia, o viandante, cittadino, provinciale o straniero, entra e devotamente rendi omaggio alla prodigiosa antica opera: il tempio gentilizio consacrato da tempo alla Vergine e maestosamente amplificato dall’ardente principe di Sansevero Don Raimondo de Sangro per la gloria degli avi e per conservare all’immortalità le sue ceneri e quelle dei suoi nell’anno 1767. Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste (cariche) di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati". (traduzione dal latino di Maria Alessandra Cecaro).

Le origini della Cappella sono collegate ad un evento miracoloso riportato nella letteratura dell'epoca. Sul finire del secolo XVI, narra la leggenda, un uomo era trascinato in catene alle carceri, accusato di una colpa grave che non aveva commesso. Mentre insieme ai suoi guardiani camminava lungo il giardino di Palazzo de Sangro, improvvisamente una parte del muro di cinta crollò rivelando fra le macerie un dipinto della Vergine che teneva fra le braccia il Cristo morto. Sbalordito l'uomo s’inginocchiò e pregò la Madonna di aiutarlo, promettendo, se riconosciuta la sua innocenza, d’innalzare un piccolo altare alla sua Immagine. Ottenuta la scarcerazione l'uomo tenne fede al voto e, da quel momento l'altare diventò luogo di pellegrinaggio e di preghiera e molte furono le grazie dispensate dalla Vergine. Il proprietario del palazzo, Gianfrancesco Paolo de Sangro, primo Principe di Sansevero, si ammalò in modo grave e in un momento di disperazione si rivolse alla Vergine del dipinto per ottenere la guarigione. Ristabilitosi prontamente, come ringraziamento, fece costruire una piccola Cappella nel punto esatto in cui era apparsa l’Immagine sacra. Era l'anno 1590. Sebbene edificata con il nome di Cappella della Pietà, per riverenza all’immagine del dipinto, gran parte della fama che la circonda, più che alla sua origine leggendaria, è legata alla figura di Raimondo de Sangro VII Principe di Sansevero. Da secoli il tempio è indicato e conosciuto come Cappella Sansevero. (Oggi museo privato).

Il VII Principe di Sansevero nasce nel 1710 a Torremaggiore in provincia di Foggia, da Antonio di Torremaggiore, nobile di antichissima famiglia le cui origini risalgono a Carlo Magno fondatore del Sacro Romano Impero, e Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona. Rimasto orfano di madre pochi mesi dopo la nascita, fu affidato alle cure del nonno Paolo principe di Sansevero. Giovanetto fu inviato a Roma presso il collegio Clementino dei Padri Gesuiti. In quell’ambiente si formò il suo spirito, ribelle alla disciplina e acuto negli studi più disparati: dalla letteratura, alla matematica, alla filosofia, alla musica, al diritto, all’araldica, all’ingegneria idraulica e all’alchimia.

Alla morte del nonno, Raimondo, che ne aveva ereditato il titolo e il patrimonio venne a trovarsi, pur in giovane età, a capo di una delle più potenti famiglie napoletane. Stretto collaboratore di Carlo di Borbone Re di Napoli, regala al Sovrano una mantella impermeabile di sua invenzione per proteggersi dalla pioggia durante le battute di caccia. Valoroso soldato, nel 1744 si distingue al comando del suo reggimento nella battaglia di Velletri contro gli Austriaci. Durante la sua attività militare, inventa un archibugio che può sparare a polvere e a vento (aria compressa), e costruisce un cannone di materiale leggero che ha una gittata superiore alla norma. Scrive inoltre un trattato militare sull'impiego della fanteria che gli procura le lodi di Federico II  di Prussia.

I suoi studi preferiti, però, sono sempre rivolti all'alchimia, alla meccanica ed alle scienze in genere. Inventa così una macchina idraulica capace di far salire l'acqua a qualunque altezza; una lampada eterna, adoperando un preparato chimico che impedisce alla fiamma di estinguersi; una carrozza con cavalli di legno che può camminare, per terra e per mare, grazie ad un particolare meccanismo collocato al suo interno; una macchina tipografica capace di stampare vari colori contemporaneamente con una sola pressione del torchio.

Uomo di grande ingegno e d’elevato spirito, parla correntemente tutte le lingue europee, l'Arabo, il sanscrito e l'Ebraico. È amico di Antonio Genovesi (Salerno 1713 – 1769), filosofo, scrittore, economista, inventore che, dopo aver indossato l’abito talare, a Napoli sentì le lezioni di Giovanbattista Vico con il risultato di scrivere una sua Metafisica, opera che lo portò quasi alla condanna per eresia. Mantiene contatti con i più grandi studiosi europei nell’ambito scientifico ai quali spiega, nelle sue lettere, i risultati delle proprie scoperte. È a capo di una loggia massonica fino alla scomunica emanata dal Papa Benedetto XII il 28 maggio 1751, con bolla «ProvvidaeRomanorumPontificium».

La bolla conferma la scomunica emanata tredici anni prima dal suo predecessore, Clemente XII, e colpisce in maniera particolare “il segreto massonico” ed il suggello che esso riceve sotto il vincolo del giuramento. Scomunica ben presto revocata da Benedetto XIV, il quale si rende conto che le accuse d’eresia mosse a carico del De Sangro altro non sono che il frutto della maldicenza e dell’invidia dei suoi concittadini.

Negli ultimi venti anni della sua vita il Principe dedica tutte le sue energie esclusivamente nell'arricchimento scultoreo della Cappella, chiamando intorno a sé i più grandi artisti dell'epoca tra i quali il Corradini, il Queirolo e il Sammartino, a loro affida la creazione di particolari opere in marmo. Non si limita a commissionare i lavori, sceglie personalmente i marmi, suggerisce la tecnica e la tematica per ogni opera e ne dispone la posizione. In realtà mira a lasciare ai posteri un messaggio, ermetico ed allegorico, in sintonia con l'alone di mistero che ha avvolto la sua intera esistenza.

Infatti, nota il Francovich: "Né va dimenticato che il De Sangro è anche il fondatore del più importante monumento di arte barocca esistente a Napoli, la Cappella Sansevero, in cui non solo si manifesta "la volontà di stupire, di scoprire e di ammaestrare del Committente, ma anche il bisogno di esprimere con un complesso simbolismo il segreto di un mondo arcano. Penso, infatti, che le decorazioni che vi fece apporre indicando agli scultori i temi da svolgere, le lapidi che egli stesso dettava, abbiano nel loro simbolismo finora mai o mal spiegato, un significato massonico" (Storia della Massoneria in Italia dalle origini alla rivoluzione francese, Firenze, 1975, pp. 102-103). La morte lo coglie nel 1771. Di lui Giuseppe del Noce scriveva:
Raimondo de Sangro aveva cominciato il suo percorso iniziatico sollevando il velo del misterioso Rito egizio di Mizraim, era un alchimista che attraverso lo studio della cabala e dell’ermetismo si era avvicinato all’Ordine Rosacrociano divenendone un adepto, come dimostrano i suoi studi, le sue scoperte, la stessa simbologia che volle dare ai gruppi simbolici della Cappella di Sansevero. Il Principe fu uno di quegli spiriti guida dell’umanità che solo periodicamente compaiono su questa terra per essere d’esempio, con l’azione e con il sentimento, all’umanità”.

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