17 Luglio 2021

Il viaggio nel tempo col Treno Verde della Sardegna dal Marghine alla Planargia

di Cristoforo Leoni
I prospetti delle vecchie case evocano scenografie di realtà quotidiana agropastorale dando vita alla manifestazione pittorica dei Murales, raffigurazioni inneggianti culture e tradizioni antiche del popolo sardo

Ieri: un freddo 17 dicembre 1888, Macomer si preparava a festeggiare il santo Natale sotto una candida nevicata. Da tre giorni Il forte vento tormentava la cittadina e all’orizzonte, nell’ altopiano di Campeda, le sugherete spoglie, diradate e piegate dal tempo; curve sulla stessa direzione, sagome di un esercito stanco quasi voler mostrare un inchino alla nuova strada ferrata che si prestava a essere inaugurata da lì a pochi giorni.

La ferrovia lunga 48 km. terminata a tempo di record era pronta al suo collaudo per volontà della Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde.  Avrebbe segnato l’avvicinamento del Marghine alla Planargia, dal cuore nevralgico della Sardegna centrale al profondo blu della costa centro occidentale, dalle sommità brumose dell’altopiano degradando progressivamente e tortuosamente tra le distese di cereali, uliveti, orti e rigogliosi vigneti della Malvasia fino alla ricca Città aragonese che nel suo massimo splendore ottenne il rango di città regia: Bosa.

Oggi: trascorsi 130 anni, la sbuffante locomotiva a vapore Winterthur Bosa n° 10 ha lasciato spazio con l’avvento dell’innovazione tecnologica di inizio secolo, al locomotore diesel LD e La storica carrozza Bauchiero, classe 1913 della omonima Società Anonima di Torino, resiste ancora al suo tempo con i pregiati legni e ottoni tirati a lucido come quel lontano 18 dicembre. 

L’inverno è fuori e la tiepida brezza di giugno ricorda lo scandire delle stagioni, la cortina bianca lascia spazio al giallo paglierino dei campi mietuti di fresco, l’estate è ormai alle porte e tutto sembra fermarsi per un attimo. Il cielo immobile, le nuvole alte, i balestrucci quasi paralizzati dal sole sfruttano la termica mattutina. Un silenzio sordo ferma il tempo, tutto sembra paralizzato.

Il fischio assordante e deciso riporta alla realtà, le guance gonfie del macchinista richiamano con un soffio degno del miglior trombettista Fresu, i ritardatari sulla banchina che consumano l’ultimo mozzicone di sigaretta prima della partenza. Le scalette ripiegate, le imponenti ruote si avviano lente emettendo un cigolio sempre più intenso, quasi voler staccare una colla di ruggine del passato, e si muovono decise. Quelle ruote di ferro che solo 130 anni prima erano fiammanti e lucide, oggi appena consumate si avviano nel loro ennesimo viaggio, il viaggio verso il blu.

La stazione è ormai alle spalle, la strada ferrata rapisce e strappa dal contesto urbano, le abitazioni scompaiono e tutto il panorama è insolito e inatteso, non si vede asfalto nè piazzuole di sosta, cancelli di proprietà, cartelli pubblicitari o banchine inerbite. Solo campagna, traversine e ghiaia.

All’orizzonte si intravvede la prima civiltà umana risalente al tardo medio evo sardo: la Chiesa di Santa Maria di Corte sorta per opera di monaci cistercensi nel 1149 su un’area campestre denominata Cabu Abbas (per via della presenza di numerose fonti di acqua nella zona). Abbazia annessa a un imponente monastero che già nel XV secolo venne abbandonato e sottoposto a 

spoliazione degli imponenti blocchi basaltici riutilizzati per la costruzione di case nobiliari nel vicino paese di Sindia e in parte destinate al basamento della stessa ferrovia.

Percorsi pochi km e lasciato Sindia, non molto lontano Tinnura, piccolo borgo dalle mille virtù artistiche e dalle colorate lastricate pavimentazioni stradali con accostamenti cromatici dal bruno basaltico alla trachite rossa fino al bianco travertino. I primi molto diffusi nella stratificazione geologica del luogo, l’ultimo trasportato chissà da dove. Negli anni il borgo ha ispirato scultori contemporanei di fama internazionale quali Pinuccio Sciola “colui che svela al mondo la magia del suono della pietra”  https://www.fondazionesciola.it/portfolio_page/pinuccio-sciola  e Simplicio Derosas con la sua fontana dalle 10 bocche che rappresentano altrettanti segni dello zodiaco. Tinnura è anche il paese dei Cestini in asfodelo macerato “isciareu” e di giunco acquestre “tinnias”. I primi rilegati con la materia vegetale naturale e particolarmente utilizzati per la conservazione del pane tradizionale, i secondi rifiniti con rafia colorata utilizzati durante le feste per l’offerta dei tradizionali dolci.  

I prospetti delle vecchie case evocano scenografie di realtà quotidiana agropastorale dando vita alla manifestazione pittorica dei Murales, raffigurazioni inneggianti culture e tradizioni antiche del popolo sardo. Spiccano le espressioni dei personaggi ritratti da far sembrare l’intero paese un fantastico album di foto animate. 

Inizia la discesa verso il mare, i lunghi rettilinei di strada ferrata sono ormai un miraggio e il susseguirsi di curve dolci ombreggiate dagli alberi da frutta e cespugli potati su misura dal passaggio dei locomotori nel tempo, si alternano a minuscole proprietà reduci da eredità generazionali di famiglie numerose, separate spesso da muri a secco in pietra vulcanica, da immensi rovi di mora selvatica e da succulenti ficodindia. Lo sguardo è catturato dal basso, ostaggio dell’immensità marina e dalla sua maestosità turchese della madre costa. L’ aria afosa e secca stempera improvvisamente e la brezza salmastra accoglie il visitatore ammutolito da tanta meraviglia.

Tresnuraghes, nella sua etimologia (tre nuraghi), in origine nacque all’ interno dei tre monumenti archeologici dei quali solo uno è visibile. Probabilmente gli altri due hanno subito la stessa sorte del monastero di Sindia (in Sardegna è prassi comune riciclare gli oggetti devoti all’ ecosostenibilità!). Tuttavia il paese ha antiche origini romane e greche insediatesi rispettivamente sulle due sponde opposte del rio Mannu.  In epoca giudicale fu capoluogo della Curatoria della Planargia.

Le popolazioni greche “Euticiani” provenienti dal sud del Peloponneso nel V sec d.c., importarono un nobile vitigno che in Sardegna ha trovato il proprio areale nelle dolci colline di Tresnuraghes, Flussio, Modolo e Magomadas, dove si produce un prelibato DOC molto apprezzato: la Malvasia.

Giovane, mantiene una dolce fragranza fruttata speziata, invecchiata raggiunge la maturità di un brandy con predominanza di sentori marini e iodati e gradazione alcolica che spesso supera i 14°.

I produttori del bosano quando riuniti, decantano spesso le lodi del proprio nettare e fanno gara a turno, per un assaggio nella propria personale cantina (gruppi minuti assaggio razionale, gruppi consistenti sbornia quasi assicurata).

La marcia del treno, lenta e tortuosa, si interseca ripetutamente con la strada asfaltata. Una catenella separa le due strade e il treno maestoso ha sempre la sua precedenza, avanza fiero e imponente. Il cantoniere puntuale è il suo guardiano vigile, responsabile di tale precedenza e poco importa se la notte abbia o meno fatto tardi o festeggiato inneggiando il Dio bacco lasciandosi coccolare dal piacere inebriante del bianco o rosso o se la notte prima abbia festeggiato e glorificato il santo patrono del proprio paese tra santo e profano. La mattina ha un dovere, un sacro dovere: far rispettare la precedenza del Treno verde da oltre 130 anni.

Da bambino ho avuto il piacere di conoscere il sig. Atzeni, burbero, di poche parole e dallo sguardo severo, baffi taglienti e occhi brillanti. Una intera vita vissuta a dettare la precedenza della sua ferrovia rispetto alle autovetture che attraversano continuamente quelle rotaie, in tutte le ore del giorno e della notte; in tutte le stagioni dell’anno, col freddo pungente, la pioggia scrosciante o il sole cocente. La solita catenella che, nella sua vita lavorativa avrà sostituito almeno 5 o 6 volte della quale conosceva ogni sua maglia, ogni spezzone, ogni tirante.

Viveva con la sua famiglia nella casetta isolata sulla ferrovia, data in concessione dalla Società per le Ferrovie Complementari della Sardegna. Isolata nel bosco, non era lontana dal passaggio a livello che doveva raggiungere velocemente e immancabilmente negli orari prestabiliti.  L’ alloggio degli Atzeni era la loro villa, seppur di modeste dimensioni, base squadrata, aveva l’altezza del prospetto maggiore della larghezza della propria facciata. In un ambiente alpino del nord Italia sarebbe potuto essere un maso di montagna o una baita di alpeggio. Lì, nella ferrovia, era l’alloggio del cantoniere. Due piani di vita domestica con falde spioventi per contrastare le nevicate barbaricine e un imponente comignolo che da ottobre ad aprile liberava un profumato fumo che solo in campagna si può trovare. Un fumo di legna di rovere e quercia molto presenti nella zona. Quel caldo focolare che scaldava le sette anime del casolare degli Atzeni.  

 Il nostro viaggio è prossimo all’ ultima tappa, lasciati gli orti e le vigne si ritorna sul pianoro della quota del mare. Il paesaggio mozzafiato dal blu intenso sbilancia la carrozza sul versante del mare di Turas.  Impossibile resistere a tanta bellezza, tutti i passeggeri si accalcano sul lato sinistro del Bauchiero mettendo a dura prova le rigide molle. La ferrovia entra nell’ abitato silenziosa e il suo treno fiero della Compagnia Reale delle Ferrovie Sarde, ancora oggi dopo 130 anni, rallenta il suo moto quasi a passo d’ uomo fino a toccare i blocchi del capolinea di Bosa Marina. Pronto per il prossimo viaggio...