13 Giugno 2016

Napoli: i misteri della chiesa di Sant’Eligio

di Maria Giuseppina Buono
La chiesa ha visto molti secoli della Napoli “giustiziera”, ha assistito alla prigionia di Masaniello, alla mortedi Eleonora Pimentel Fonseca

Sant’ Eligio è una delle chiese gotiche più antiche di Napoli, fu costruita intorno al 1270 nelle vicinanze dei luoghi che, un tempo, furono protagonisti della decapitazione di Corradino di Svevia. Fortemente voluta da tre grandi della corte di Carlo D’Angiò, gli stessi che decisero di affiancarla a un complesso ospedaliero, dominava, tanto tempo, fa l’intera Piazza Mercato, ora, invece, si intravede nei vicoli fra il corso Umberto e il porto.

Prima di essere letteralmente assorbita da i vicoli che oggi la circondano, la chiesa ha visto molti secoli della Napoli “giustiziera”, ha assistito alla prigionia di Masaniello, alla mortedi Eleonora Pimentel Fonseca e tanti altri giustiziati in ogni tempo a Napoli.

Del complesso fanno parte, oltre alla famosissima chiesa, altri due chiostri, uno dei quali, dotato di una caratteristica fontana seicentesca. All’interno dell’imponente complesso è impossibile non accorgersi dei vari rimaneggiamenti e pesanti opere di restauro resisi necessari dopo la seconda guerra mondiale, tuttavia, non si è assolutamente perso il senso storico e misterioso del luogo; a testimoniarlo, numerose opere d’arte ivi conservate che pongono l’accento sulla longeva importanza e ricchezza della chiesa nel corso dei secoli. Sono qui conservati, infatti, un dipinto di Massimo Stanzione, di CorneliusSmet che addirittura si pensi ritoccato da Michelangelo e, ancora, uno di Francesco Solimena.

Una normalissima chiesa si potrebbe pensare, nulla di più. Se è vero, però, che a Napoli nulla è come sembra, è doveroso analizzare più da vicino Sant’Eligio e i suoi misteri celati dietro apparenti banalità.

Nel corso del quattrocento, infatti, a ridosso della chiesa venne eretto un arco a due piani che collegava il campanile con un altro edificio adiacente alla struttura. Il secondo piano di quest’arco era ricco stemmi aragonesi; si dice che in antichità ospitasse una piccola camera dove i condannati erano soliti trascorrere le ultime ore prima di essere giustiziati. E’ l’orologio sito al primo piano dell’arco tutto decorato in stile gotico, però, che attira l’attenzione dei più.

Da un lato, l’orologio è caratterizzato dall’avere una sola lancetta mentre dall’altro, nella sua cornice antica e tradizionale è dotato di tutte e due le lancette, questa faccia della “medaglia” che cela una storia misteriosa quanto singolare. Una leggenda del cinquecento, tramandata da Benedetto Croce, racconta che le due teste scolpite nella cornice dell’orologio siano Antonello Caracciolo e una sua vassalla. Si dice che il duca, invaghitosi della giovane vassalla, disinteressata a lui, fece incarcerare il padre e la ricattò per prenderla in sposa nell’intento di scambiare il matrimonio con la scarcerazione del padre. I familiari della giovane donna, non potendo accettare questo ricatto, chiesero al re in dirimere la questione. Il re Ferdinando d’Aragona condannò il duca a sposare la giovane donna di nome Irene e lo obbligò a fornirle di propria tasca una ricca dote e poi lo fece decapitare.

Un’altra storia è legata, invece, alla parte dell’orologio dotata di una sola lancetta ed è decisamente più recente; risale al 28 Marzo del 1943. La nave Caterina Costa, attraccata nel porto di Napoli, esplose un po’ prima di partire, intorno alle 15:00. La lancetta dell’orologio, inceppata da una lamiera, ha segnato quell’orario sino al 1993, anno del suo restauro.

Sant’Eligio, infine, pare sia considerato il protettore dei cavalli, questo, poiché in antichità esisteva una statua equestre situata davanti al complesso intorno alla quale si facevano girare i cavalli infermi. Questo rito, fu poi vietato in epoca sveva, il Re Corrado fece fondere l’intera statua, tranne la testa, attualmente conservata nella moderna stazione della metropolitana linea 1 Museo. La testa Carafa, così era chiamata la testa della statua, prima era di proprietà della famiglia Medici e poi passò ai Carafa dai quali prese il nome. Ancora oggi, sono moltissimi gli ex voto che vengono affissi al portone della chiesa come ringraziamento per la guarigione dei propri animali.

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