26 Settembre 2020

Turchia: la seconda parte del mio diario di viaggio

di Stefano Torcellan
Questa seconda parte del viaggio in Turchia comprende le cronache da Istambul, Alanya, Konya, Göreme (Cappadocia)

ISTAMBUL

L’arrivo - dicembre 2019

Ponte tra Europa ed Asia, ancora oggi la città mantiene intatta quella sottile percezione di mistero e di esotica vitalità che, probabilmente, deriva dal cumulo dei suoi 2700 anni di storia.

Il volo da Venezia, con la compagnia di bandiera turca, fu piacevole ed il tempo del viaggio trascorse assai velocemente.

Uscito dalla standardizzata dinamicità del nuovo aeroporto internazionale a bordo di un taxi, impattai nel traffico caotico di una grande metropoli.

Dopo più di un’ora e mezza di viaggio alla velocità di un calesse, giunsi finalmente nel trambusto del centro città, presso l’Hotel “Palazzo Donizetti”, assieme a mia moglie e mia figlia. Lì già ci aspettavano mio figlio e la sua sposa, appena arrivati dalla Germania.

Giuseppe Donizetti detto “il turco”, musicista e compositore, era il fratello maggiore del più celebre Gaetano (L’elisir d’amore, Lucia di Lammermoor, Requiem, ecc.) ed è tuttora tra gli italiani più famosi della Turchia. Amico di sultani e delle massime cariche dell’esercito turco, scrisse partiture militari per banda ed inni imperiali. Per le sue performance acquisì addirittura il titolo di Pascià.

Questo hotel ci fu consigliato, non tanto per il “richiamo” all’illustre connazionale, quanto per la sua posizione strategica e la meravigliosa vista “a volo d’uccello” sul Bosforo che si poteva ammirare dall’ampia terrazza posta sul tetto dell’imponente edificio.

HAGÍA SOPHIA (Santa Sapienza)
Rimasi piacevolmente turbato dall’imponenza e dalla bellezza di questa basilica, il cui suo ultimo rifacimento si deve all’imperatore Giustiniano, nel VI secolo.

Gli spazi all’interno sono enormi. La sala maggiore misura circa 70 mt per 75 e la cupola, alta 55 mt, ha un diametro di 30 mt. Le poderose colonne di granito salgono a 20 mt e, seguendole con il naso all’insù, si gioisce e ci si disperde nella fastosità architettonica sovrastante.

I mosaici policromi dedicati all’empireo cristiano, sono nitidi e rilucono di una calda luce dorata attinta da una corona di numerosi e ordinati finestroni oblunghi, dai quali fluiscono fasci di luce distillata.

Purtroppo gran parte della basilica era in restauro e le alte impalcature impedivano una visione d’insieme che poteva essere sufficientemente apprezzata dalla galleria superiore, disposta a semicerchio. Qui, nel matroneo, resi omaggio al cenotafio di un mio antico concittadino, il doge Enrico Dandolo, morto a 98 anni nel 1205, comandante della poderosa flotta veneziana nella quarta crociata (1202-04).

Negli angoli della sala centrale della basilica, sono posizionati degli enormi medaglioni con fondo nero e scritte dorate in arabo inneggianti al dio musulmano. Nel contesto sono impertinenti, ma rispettano l’assetto cristiano della struttura. Mi infastidiscono invece i minareti eretti nei quattro lati poiché stridono ed imprigionano una tipologia architettonica ad essi aliena.

LA MOSCHEA RIESUMATA
Il 24 luglio scorso, Hagia Sophia è ritornata ad essere una moschea, annullando così un decreto del “padre della patria” Mustafa Kemal Ataturk che, nel 1934 l’aveva trasformata in museo. La decisione dell’attuale capo di Stato turco, ha suscitato e sta suscitando veementi proteste ed indignazioni in tutto il mondo cristiano. Nell’assumere una valenza religiosa e cultuale, questa stupenda basilica costiperà, credo, anche l’approccio mentale del visitatore assoggettato a modalità di accesso più costrittive; ma la storia è piena zeppa di trasformazioni analoghe, lo stesso cristianesimo insegna!

LA CISTERNA BASILICA
Coeva di Santa Sofia, anch’essa fatta costruire da Giustiniano, è una enorme costruzione sotterranea sorretta da più di 330 colonne e capace di contenere 80.000 metri cubi d’acqua, in origine destinati ad uso del Palazzo Imperiale. Quando ci si addentra lungo un percorso sopraelevato, perché certe zone sono ancora immerse nell’acqua, si ha la sensazione di trovarsi in una grotta viva. Fioca è la luce. Simile è l’eco. Ci si sente addosso quella sensazione di umida frescura dall’odore confusamente marcescente ma allo stesso tempo corroborante. Si accusa quel misterioso fascino del tempo immoto che disorienta e che richiama le descrizioni classiche dell’Ade. Tuttavia, come in una iniziazione, svanite le primarie emozioni di ignoto stupore, non sorprende constare poi che tutto ciò è reale e fu costruito secondo proporzioni e misure immani e armoniose. Colonne di lucido marmo stillano sinuosi rivoli d’acqua, che si dilatano sui basamenti e più oltre. In cima, a mo’ di corona, sono collocati candidi capitelli scolpiti e traforati che sorreggono gli archi a tutto sesto, collegati tra loro da una graticola di tiranti metallici. L’incerata nera dell’acqua immobile restituisce, capovolte, le repliche luminescenti e caleidoscopiche di una foresta di tronchi di marmo.

IL PALAZZO DEL SULTANO o Palazzo di Dolmabahçe
Sorge sul Corno D’Oro, nello specchio d’acqua dove un tempo la flotta ottomana ancorava le navi e celebrava le feste più importanti.

Dalla prima metà del XIX fino alla proclamazione della Repubblica da parte di Ataturk, fu la sede di altri Sultani che si avvicendarono al comando della potenza turca in lenta dissoluzione, abbandonando l’antico palazzo Topkapi.

Questo sincretistico complesso architettonico elaborato e sfarzoso, fu costruito perché il Sultano Abdul Mecit I (r. 1839-61). Infiammato da smanie di grandezza, pretese una residenza al pari di quelle delle grandi potenze europee. Ma scombussola un po’ nel vedere tanta magnificenza parecchio estranea ad una secolare civiltà che difficilmente trasgrediva le tradizioni ed i lasciti etnico-culturali. Probabilmente fu un chiaro sintomo dell’imminente caduta dell’impero, oramai compromesso politicamente e militarmente, che cercava avalli in altri ambiti.

La ricerca di antichi fasti, la si può registrare anche nella “Sala del Cerimoniale”, l’ultimo fulcro del potere e della diplomazia ottomana, che richiama vistosamente la struttura della basilica di Santa Sofia, quasi a ricordare le glorie sul campo dei tempi che furono.

Anche gli interni di questo palazzo sono artisticamente affascinanti e per certi versi anche molto teatrali. Vale la pena di visitarlo anche per cogliere il contrasto stridente con il celebre e tradizionale Topkapi.

Procedendo lungo i corridoi ed i saloni arredati con splendidi mobili, poderosi lampadari (anche di Murano), preziosi tappeti e suppellettili vari, si ha sostanzialmente la sensazione del “déjà vu”, per noi europei. Tuttavia, le attraenti peculiarità ottomane (come l’Harem, i ritratti dei Sultani, i bassi divani in cui avvenivano le riunioni importanti, i bagni, i marmi e le ceramiche policrome, ecc.), si fondono in un appassionante quanto inconsueto connubio di stili.

E tutta questa lucente pietra candida ed elaborata delle costruzioni è accolta nei lussureggianti giardini, che forniscono ristoro dalla frenesia cittadina e refrigerio nelle assolate giornate estive.

IL PALAZZO TOPKAPI
Questo antico complesso residenziale è conosciuto soprattutto perché contiene uno dei più grandi diamanti del mondo, con i suoi 86 carati, oltre ad una cascata di pietre preziose (rubini, smeraldi, perle, giada, ecc.) e un notevole cumulo di oro, di argento ed oggetti preziosissimi.

Ma non bisogna dimenticare che fu il centro di comando del potere ottomano per quasi quattro secoli. Fu costruito da Maometto II, dopo la presa di Costantinopoli nel 1453, sulla base di concezioni architettoniche completamente diverse da quelle utilizzate nell’edificazione di palazzi o di regge europee. Le potremmo definire costruzioni a “padiglioni”, formate da basse strutture (alloggi, caserme, cucine, uffici) che delimitano ampi spazi aperti, dette “Corti”, ed in questo palazzo ce ne sono ben quattro. Ricordano l’assetto degli accampamenti delle genti nomadi, così come in origine, i turchi, lo furono.

Questo palazzo, comunque, ha sempre esercitato un grande fascino sugli occidentali. Complici i racconti più o meno veritieri, legati agli intrighi di corte, all’ostentata ricchezza e, soprattutto, alle “distrazioni” del Sultano, che gli ambasciatori delle potenze straniere, i loro diplomatici, ma anche gli stessi soldati nemici, si accaloravano nel voler raccontare, dando sfogo, compiaciuti, anche alla loro immaginazione.

Il vasto complesso residenziale, proprio del Sultano e della sua corte, è disposto lungo un lato. E’ costituito da numerosi edifici abitativi e di rappresentanza, il più celebre dei quali è l’Harem (cioè “Proibito”) che poteva “ospitare” 300 concubine; istruite, curate nell’aspetto e nei modi, per cercare di propiziarsi le benevolenze dell’Imperatore ottomano. Come se non bastassero, quest’ultimo poteva avere anche 4 mogli legittime. Gli unici maschi ammessi, erano una nutrita schiera di eunuchi (evirati) anche di colore, che vigilavano rigorosamente sulle fanciulle.

L’Harem si articolava su più livelli, a seconda del numero delle concubine presenti.

Quando lo visitai ne rimasi deluso. Mi aspettavo di vedere ambienti sfarzosi, piscine, giochi d’acqua e tendaggi, giardini, ma tutto ciò era frutto di illusioni cinematografiche e di suggestioni che, in questo caso, non corrispondevano a realtà. Di fatto, questo particolare ambiente, era più simile ad un condominio esotico che alle ambientazioni narrate nei racconti di “Mille e una notte”!

IL GRAN BAZAR

E’indubbio che i banchi di spezie con i numerosissimi accostamenti di colori, i loro intensi profumi, siano una irrinunciabile attrazione naturale; almeno lo furono per me, inebriato nella vista e nell’odorato.

Feci incetta di spezie e frutta secca (pistacchi in particolare), accuratamente confezionate sotto vuoto, accompagnate da larghi sorrisi e con l’offerta del çhay, il thè turco, da parte degli abili negozianti. Nonostante una vivace contrattazione sul prezzo che riuscii ad abbassare, mi accorgerò successivamente che gli stessi prodotti si potevano trovare nei mercati cittadini con costi inferiori.

Imparai subito che bisognava fare attenzione a tutto ciò che “luccica” ed acquistare possibilmente dove acquistano i nativi, utilizzando pure la moneta locale. Solo in questo modo si può apprezzare il divario che sussiste tra l’euro e la lira turca (1€ = ca. 7 LT). In estrema sintesi, la vita in Turchia costa tre/quattro volte di meno rispetto all’Italia, soprattutto se si è accorti!

Il Gran Bazar è il cuore pulsante della città vecchia. In questo luogo, serve poca immaginazione per balzare indietro di secoli e ritrovarsi al tempo dei Sultani conquistatori e passeggiare in quella quotidianità caotica, labirintica e molto pittoresca che, allora, non doveva essere molto diversa da oggi.

Udire i richiami incomprensibili dei bottegai emergere da un chiassoso brusio di fondo. Intercettare profumi e odori dalle variegate tonalità. Osservare file interminabili di variopinte mercanzie imbottire con ridondanza i corridoi e le strette stradine. Fondersi nel flusso disordinato delle persone e sentirsi parte di esse pur con culture differenti.

Potrei attingere ancora molto dal mio diario, tuttavia spero di aver sufficientemente restituito almeno i sintomi della mia passione nei confronti di questa millenaria città. Perciò continuiamo il viaggio!

ALANYA
E’ una città costiera molto turistica, frequentata soprattutto da russi, genti del nord Europa e dagli immancabili tedeschi. Ma, a dicembre, di turisti ce n’erano ben pochi (per fortuna), pertanto vissi tranquillo (con la mia famiglia) in un bell’appartamento al terzo piano di un Hotel 3 stelle, (a 400 € al mese) ubicato ad una trentina di metri dal mare e dalla lunga e soffice “Spiaggia di Cleopatra”. Fu una specie di “campo base” dal quale si dirameranno tutte le mie escursioni in territorio turco. Ma questo luogo lo descriverò prossimamente, assieme alle città più significative del litorale mediterraneo.

KONYA

Siamo nell’ISLAM più tradizionalista! La cosiddetta “modernità” svanisce nella città vecchia, nella zona del mercato e delle moschee. Ebbi la sensazione di trovarmi al di fuori della Turchia, così come fin qui l’avevo conosciuta e di essere stato catapultato in qualche Paese arabo. Tutto ciò che mi circondava era diverso, tutto più “levantino”. Le persone per la strada portavano, quasi tutti, vestiti tradizionali orientali: tuniche, braghe con il cavallo (molto) abbassato, pantofole fatte di cuoio con punta acuta. Rarissime le donne con il burka integrale, ma tutte erano sempre ben ricoperte dal tipico velo scuro e da lunghe gonne dai colori spenti.

A differenza dei Stati Arabi o di religione musulmana, l’integralismo religioso in Turchia è decisamente molto blando, almeno così mi è parso nei due mesi ed oltre di soggiorno in questo Paese. Anche la religiosità l’ho percepita “dinamica”, nel senso di non incombere nella vita dei cittadini in modo ossessivo e vincolante, fatto salvo questo centro etnico, in cui il lusso pareva bandito.

I locali di ristoro, ad esempio, sono generalmente molto spartani: semplici tavoli con tovaglie di plastica e scomode sedie. Dalla cucina, spesso divisa dalla zona pranzo da un lungo bancone, straripano in sala profumi ed odori caratteristici del cibo cotto o arrostito, insaporito da spezie.

In certi locali è consuetudine richiedere il narghilè e rilassarsi fumando tabacco aromatico accovacciati su gonfi cuscini arabescati.

Visitai solo la ristretta area delle moschee, ma sapevo che la bella città moderna si estendeva attorno all’antico centro ed era inoltre sede di una importante università.

L’ordine dei “Dervisci Rotanti” ha qui le sue origini! Questa specie di solitari santoni musulmani praticano una cerimonia particolare che affascina ancor oggi. Si tratta di una danza rituale che servirebbe per collegarsi misticamente con la divinità mediante la concentrazione e la suggestione, istigate dal continuo inebriante movimento rotatorio in crescendo che, con un effetto scenico, spiana orizzontalmente le ampie gonne dei danzatori. Assistetti ad una cosa del genere confezionata per turisti e praticato da ballerini o da figuranti, ma devo ammettere che, complici la musica stimolante e la coreografia, fu comunque uno spettacolo d’effetto.

MUSEO DI MEVIÂNA
Un tempo era la sede della Comunità dei “Dervisci Rotanti” e oggi è la meta del pellegrinaggio più importante della Turchia che richiama da tutto il Paese milioni di persone.

Sulla porta del Mausoleo lessi senza difficoltà la scritta turca in argento purissimo che tradussi così: “Chi entra qui incompleto ne uscirà perfetto”! Ovviamente sto scherzando, mi avvalsi di una guida cartacea; conosco forse una ventina di parole in turco! Ma non scherzo quando mi trovai di fronte ad uno scrigno contenente nientepopodimeno che i peli della barba di Maometto. Le reliquie … sono proprio universali!

Un altro oggetto colà conservato, che riconduce alle epifanie divine, è un turbante “benedetto”, la cui punta immersa nell’acqua poteva guarire il malato cui era proposta, sempre che avesse posseduto una sincera fede in Allah.

LE MOSCHEE
Per entrare in moschea bisogna indossare delle “galosce” di nylon, poiché parte del pavimento, è rivestito di preziosi tappeti. Tutte le donne devono indossare rigorosamente un velo che ricopra la testa e le spalle per occultare per bene tutti i capelli.

La spiritualità dei musulmani (dall’arabo “mulisman” cioè aderente all’Islam che a sua volta significa “abbandono di sé alla volontà divina”) in questo luogo è molto pregnante. Lo si avverte nell’espressione dei volti e nei comportamenti rispettosi con cui, mediante la preghiera e il fervore si offre al dio musulmano la propria esistenza presente e futura.

E’ la stessa spiritualità che si può riscontrare nelle funzioni cristiane o nei nostri santuari!

Le moschee, al pari delle chiese, contengono tombe di antiche autorità; quelle dei personaggi più importanti sono collocate in zone impreziosite da decorazioni parietali smaltate con colori vivaci e arabeggianti.

CAPPADOCIA

E’ un territorio dalla morfologia davvero singolare che non ha paragoni in tutto il resto del mondo. I rilievi archeologici attestano insediamenti di popolazioni Ittite fin dal diciannovesimo secolo a.C..

I duecentoquaranta chilometri, che separano Konya da Göreme, procedono verso il centro della Turchia e sono caratterizzati da desolate pianure ondulate e pietrose. Sullo sfondo si elevano basse catene montagnose imbiancate dalla neve nei picchi più alti. La strada carrabile è larga, liscia e disposta in due carreggiate con due o tre corsie per senso di marcia. A compensare la monotonia asettica e algida del paesaggio, una doppia fila interminabile di alberi delimita l’ampio nastro di asfalto. Lungo il centro, una fitta cortina di arbusti, che fioriscono in primavera, celano il traffico avverso.

GÖREME

I colori della terra di Cappadocia, declinati in decine e decine di tonalità, emergono come d’incanto nell’approssimarsi al villaggio ricavato nelle chiare colline di tufo butterate e bucherellate.

Alti pinnacoli conici, che milioni d’anni di erosione hanno plasmato dopo importanti eruzioni vulcaniche, emergono folti da piccole valli irregolari e accidentate. Sorreggono spesso un “cappello” costituito da un masso arrotondato. Vengono chiamati i “camini delle fate” per il loro aspetto fiabesco e inusitato. Costituiscono la principale attrazione turistica della regione assieme agli antichi insediamenti religiosi.

IL MUSEO A CIELO APERTO di Göreme, è formato da un numero davvero rilevante di chiesette, monasteri, cappelle scavate nella roccia. All’interno, le scene “sacre”, affrescate con colori vividi, ritraggono il Gesù pantocrator (busto del “Signore del mondo”, benedicente), ma anche angeli armati di una sottilissima lancia, santi, personaggi biblici, croci e decorazioni pittoriche. Il clima secco della regione e la scarsa illuminazione degli ambienti, hanno contribuito a conservare decentemente queste opere, considerando che risalgono spesso al periodo bizantino. Sono dipinti semplici, quasi elementari, realizzati con pochi segni e con fisionomie scarsamente diversificate, tuttavia creano quel pathos religioso che, tuttora, induce alla devozione i credenti.

Purtroppo molti visi, ivi riprodotti, sono stati sfregiati verosimilmente dai conquistatori turchi o da individui chiaramente avversi alla fede cristiana.

La vita monastica fu molto attiva nel passato e si svolgeva in piccoli recessi e cavità sottratte al ventre della montagna. L’illuminazione naturale, ieri come oggi, proviene quasi esclusivamente dalle pareti esterne; mentre nelle profondità delle sale la luce si affievolisce sempre più fino a creare vaste zone di fitta ombra. Anche i refettori dei religiosi sono scavati nella roccia, così come le sedute e lo stesso lungo e stretto tavolo.

LE MONGOLFIERE

Per vedere il carosello dei palloni aerostatici mi dovetti alzare all’alba. Tra l’altro faceva molto freddo! Fui riluttante ad abbandonare il mio tiepido giaciglio, ma non potevo assolutamente perdere uno spettacolo davvero unico. Non è un caso se il volo dei palloni avviene poco prima della comparsa del sole e finisca circa due ore dopo. Solo in questo lasso di tempo, generalmente, il vento favorevole e lieve, consente di sorvolare con sufficiente tranquillità un territorio incantevole e incantato.

Ogni mongolfiera può trasportare una media di quindici passeggeri, al costo di 180 euro ca. a persona e per un’ora di “galleggiamento”. Purtroppo non ebbi modo di prenotare il volo con anticipo presso una compagnia affidabile e dovetti rinunciare (non troppo a malincuore) a questa esperienza! Accettare inviti sul posto da improvvisate agenzie, di cui non si conoscono le credenziali (esperienza dei piloti, serietà, livelli di sicurezza adeguati, ecc.), mi fu vivamente sconsigliato!

LE CITTA’ SOTTERRANEE DELLA CAPPADOCIA
Secondo quanto ci disse la guida turca, che ci accompagnò negli itinerari sotterranei, è ancora sconosciuto il numero di città che si estendono nel sottosuolo della Cappadocia. Ne sono state individuate un centinaio e solo una quarantina sono accessibili, parzialmente, per questioni di sicurezza. Risalgono probabilmente al IV secolo a.C. e potevano essere abitate da migliaia e migliaia di persone. In questi opprimenti ambienti scavati nel tufo, si estendono dei veri e propri labirinti di cunicoli e di anfratti, che perforano la roccia in ogni direzione e a più livelli. Molti sono i pertugi semibui attraverso i quali bisogna camminare chinati, sfregando le pareti di roccia e calcando gradini consunti per spostarsi di quota. Per chi ama l’avventura un percorso del genere può essere oltremodo eccitante, ma non tutti possiedono le medesime sensibilità, per cui affanni e stimoli claustrofobici sono pronti ad emergere quando c’è troppo affollamento e gli accompagnatori locali non riescono a gestire efficientemente gli assembramenti di fronte ad un unico passaggio obbligato per direzioni contrapposte o per guadagnare l’uscita.

Queste città ctonie sono formate da stanzette, piccoli locali poveramente arredati, stalle per gli animali, abitazioni, magazzini, chiese e cappelle. Lunghi e stretti camini forniscono l’aerazione necessaria per non saturare l’aria, comunque umida e stantia, che diviene quasi irrespirabile nei giorni di punta.

RITORNO AD ALANYA

Con questa tappa finisce il resoconto dell’itinerario interno della Turchia, selezionato dal mio diario di viaggio.

Per qualche giorno mi godetti lo sconfinato mare della costa mediterranea sia dalla spiaggia di Cleopatra, quasi deserta, che dal terrazzo dell’Hotel. Da quest’ultima posizione, nel silenzio delle ore notturne, protetto da una calda giacca con cappuccio, coglievo il respiro regolare del mare; osservavo la schiuma delle onde risaltare nella lucida battigia; inalavo l’odore di salsedine rinvigorito dall’umidità notturna … e una sorta di delicata simbiosi si generava, lieve, nel mio animo.


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