14 Ottobre 2020

San Galgano batte Camelot 3 a 0

di Franco Moraldi
Vogliamo intraprendere un viaggio a tappe, non seguendo improbabili leggende ma percorrendo vere strade asfaltate, magari sconnesse, verso località che si toccano con mano, alla ricerca di persone realmente esistite che – scopriremo- nulla hanno da invidiare ai confusionari e scopiazzati intrecci dei goticheggianti libroni fantasy

Questa piccola serie  avrebbe potuto chiamarsi “Dan Brown, che ce vieni a racconta’?”, poco elegante e ingiusto però verso il mite Dan Brown (che tiene pure i problemi suoi, visto il risarcimento milionario chiesto dalla moglie dopo il  divorzio), considerando che l’obiettivo di queste pagine sono piuttosto tutti coloro che mescolando riti celtici, templari redivivi, misteri delle piramidi egizie  e simili, ci propinano dagli scaffali di mille librerie un cocktail di storielle esoteriche, spesso senza né capo né coda.

Vogliamo allora intraprendere un viaggio a tappe, non seguendo improbabili leggende ma percorrendo vere strade asfaltate, magari sconnesse, verso località che si toccano con mano, alla ricerca di persone realmente esistite che – scopriremo- nulla hanno da invidiare ai confusionari e scopiazzati intrecci dei goticheggianti libroni fantasy.

Andiamo allora a cominciare, con un bel derby europeo: Camelot contro San Galgano.

Vabbè, di Camelot tutti sappiamo qualcosa: re Artù, Ginevra, Lancillotto, i cavalieri della Tavola Rotonda, la spada nella roccia... Fermi tutti: sapete che proprio a quella spada che sulle pagine delle leggende bretoni Artù estrae dalla roccia, se ne contrappone un’altra, tutta “italiana”?  Un’arma che non è frutto di fantasia ma che è vera, di ferro, che potremmo anche impugnare, se qualche pazzarello negli ultimi anni non l’avesse danneggiata e che quindi oggi possiamo solo guardare sotto una rassicurante copertura in plexiglass (e tutto ciò da ben prima che scoprissimo il Covid!).

Questa spada infissa in una roccia si trova a poca distanza da Siena, a Montesiepi, nell’abbazia gotica di San Galgano che già meriterebbe una visita, imponente ma semplice e lineare come è, così lontana dalle “sorelle” nordeuropee, sempre affollate di mostri e ghirigori. Se la vedete una volta poi non la dimenticate più e non solo perché per costruirla ci vollero oltre 60 anni o perché visse una parabola incredibile: grande centro di vita religiosa e sociale dal 1200 al 1300, implose poi, devastata da drammatiche carestie ed epidemie, nonché da scorribande armate che regolarmente la saccheggiavano. E fu così che sempre più frati se ne fuggirono via (nel 1500 si trovò ad ospitare un unico religioso) fino a che venne dismessa e finì sconsacrata nel 1789 (toh, l’anno della rivoluzione francese: non diciamolo però a Dan Brown ).

Tutto qua? No, a creare un’icona millenaria occorre altro, ad esempio bisogna che la fame di guadagno di chi amministrava l’abbazia gli facesse alzare gli occhi verso il prezioso e sconfinato tetto in piombo, merce preziosa sul mercato tanto da spingere a … scoperchiarla per venderne il prezioso copricapo, che nessuno poi sostituì mai! E’ per questo che quando andrete a visitarla la troverete così: mura ancora solide, pavimento in erba e soffitto variabile a seconda se ci arriviate con sole, nubi, pioggia, stelle, notti nuvolose…

Ma che era successo perché in questo angolo delizioso di Toscana sorgesse proprio quella abbazia? Se cerchiamo di scoprirlo, allora sì che ne vedremo delle belle.

Intanto  se l’abbazia si chiama di San Galgano questo si deve ad un signore che visse da quelle parti a metà del XII secolo, tal Galgano Guidotti, di nobile famiglia che dopo una gioventù un poco scriteriata – fra molti duelli e ancor più numerose fidanzate – fu chiamato alla conversione nella notte di Natale del 1180: volle dimostrare la decisione di cambiare vita proprio conficcando la propria spada sanguinaria su quel terreno, trasformando così l’arma rovesciata da emblema della violenza ad immagine della Croce!  Galgano rimase nella zona come eremita per un anno, prima di morirvi a soli 33 anni (altro richiamo potentissimo) nel 1181, proprio l’anno in cui dovrebbe essere nato San Francesco d’Assisi, anche lui poi famoso per il rifiuto delle lusinghe mondane.

Da subito in odor di santità, Galgano fu canonizzato dopo appena 4 anni dalla morte e gli atti del processo di beatificazione non sono storie tramandate da chissà chi: si possono toccare e leggere dal 1185, il più antico verbale di canonizzazione conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Ah, magari è pure utile ricordare che le opere letterarie da cui sorse il ciclo narrativo di Artù, Lancillotto e compagnia tutta sono state scritte circa un ventennio dopo quella data!!

Dato allora al Santo toscano ciò che a lui spetta, restano ulteriori elementi che – se mai ce ne stesse bisogno-  spingono ad andare direttamente sul posto, come il tocco horror di 2 braccia mozzate e scrupolosamente conservate, si dice appartenenti ad un frate che, spinto assieme ad altri 2 confratelli da una invidia assoluta verso Galgano, aveva cercato di strappare la spada dal terreno, riuscendo solo a romperla prima di essere punito dall’aggressione di bestie feroci che, appunto, lo mutilarono ( e gli andò pure bene, visto che i 2 complici furono l’uno fulminato da una saetta e l’altro affogato dalle acque di un fiume).

Ce ne è a sufficienza quindi per partire verso Montesiepi e se non siete dotati di una vista più che perfetta portatevi un binocolo, così che  una volta entrati nella Rotonda dell’Abbazia che ospita la spada,  alzando lo sguardo ove terminano i cerchi concentrici bianchi e neri della cupola potrete vedere disegnati i 12 segni zodiacali: sarà mica un caso che il 21 giugno -solstizio d’estate-  il raggio di sole che penetra da una finestra si sposta fino a toccare proprio la spada che fuoriesce dal terreno?

E Dan Brown chissà che ha creduto di aver inventato, con quelle pagine del “Codice da Vinci” in cui la luce, entrando dalla finestra nella chiesa di Saint Sulpice a Parigi, colpisce la meridiana raffigurando una mai esistita “Linea della Rosa” ….