“Hallo Franco, sono Nellie Bly e non credo tu mi conosca, visto che non mi nomini mai nel tuo articoletto su Oriana Fallaci.
Facile parlare oggi di donne giornaliste e di emancipazione femminile nel lavoro, eh? Sappi che lo fu un po' meno per me, nata nel 1864 in Pennsylvania, tredicesima di 15 figli, orfana di padre ancora bambina con mamma che si risposò con un tipo violento, da cui poi per fortuna divorziò. Non c’erano soldi per poter studiare ed allora al lavoro da giovanissima: nessun problema, io non mi arrendo!
La mia vita cambiò dopo che sul Pittsburgh Dispatch uno sbruffone, opinionista riverito, titolò “What girls are good for” un insieme di scempiaggini per affermare che solo una professione potevano fare le donne: tirare su la famiglia, cucinare, cucire .. Gli risposi per le rime con una lettera che quel giornale pubblicò; il direttore volle conoscermi e …fui assunta come giornalista!
Nei miei articoli andavo diritta al punto. Per scrivere di operaie sfruttate in fabbrica mi feci assumere fra loro: i reportage piacquero ai lettori, agli industriali un po' meno tanto che minacciarono di togliere la pubblicità al giornale. Fui allora inviata speciale in Messico e denunciai la dittatura di Porfirio Diaz, un generale che si credeva Napoleone. Fui espulsa dopo 6 mesi (era un secolo prima dello scontro Khomeini- Fallaci di cui racconti).
Ero indigesta: il direttore voleva spostarmi alle rubriche di moda e giardinaggio, più “adatte ad una donna”. Mi dimisi e proposi al direttore del New York World, Joseph Pulitzer (ti dice nulla questo nome?) 2 inchieste mai viste a New York: una sulle condizioni delle donne nei manicomi e l’altra sulla vita degli emigrati europei (migranti li chiamate ora, giusto?). Accettarono ed allora prima mi finsi pazza e fui ricoverata per 10 giorni in un istituto per le malattie mentali: vidi e vissi tali orrori che, appena pubblicati, ci pensò il governo a rivoluzionare le politiche di assistenza! Per capire poi come vivevate voi europei appena arrivati in America, partii da Londra in piroscafo per New York in incognito, in terza classe, confusa fra altre donne povere e bisognose.
Fui riconosciuta “miglior reporter d’America” e pubblicai altri servizi sulle condizioni di lavoro delle domestiche (ovvio che mi finsi tale), sulle detenute in carcere (ebbene sì, mi feci arrestare), sulla vita delle donne divorziate - quando si cominciò a parlare di abolire la legge- con interviste che dimostravano come si fossero salvate la vita proprio chiudendo un matrimonio impossibile.
Mi credi un po' seriosa eh? Eppure, dopo il successo del libro “Giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne percorsi da sola proprio quel viaggio, con nient’altro che una valigia (quest’ultimo particolare colpì il direttore più di tutta l’avventura, mah). Sono una donna, ovvio che fui più veloce nel girare il mondo (72 giorni, 6 ore, 11 minuti e 14 secondi) ed i lettori impazzivano quando arrivavano i miei articoli dall’ Europa, Africa, Cina..; pensa che in centinaia di migliaia parteciparono ad una lotteria per indovinare il momento preciso in cui sarei tornata a New York! (se riesco ti mando qualche immagine della vicenda, assieme a questa diavoleria che chiamate mail).
Vissi, ahinoi, il dramma della Grande Guerra ed ancora una volta anticipai la “tua” Oriana in Vietnam: fui corrispondente di guerra dal fonte russo-serbo e non feci sconti a nessuno nelle mie cronache, scritte vedendo con i miei occhi quei poveri giovani morti, affondati nelle trincee bagnate di pioggia e di sangue.
Tutto qua, mio caro che ti diletti come giornalista: volevo che tu e chi ti legge sapeste chi è Nellie Bly (e non “chi era”, anche se tra poco è un secolo che non sono più fra voi), giornalista d’inchiesta con la schiena dritta, capace di sognare e di non arrendersi mai. Scrivevo di ciò che avevo visto e non di quello che mi raccontavano. Lo facevo anche perché non mi sentivo mai sola: parlavo anche per le altre donne, quelle che chiamavo “le donne senza”, senza diritti, costrette ad accettare le disparità, le prevaricazioni, in un’epoca ottimista di cui si ricorda più il vertiginoso progresso industriale che il più lento sviluppo sociale.
Un saluto, Nellie”.
Chi avrebbe mai il coraggio di non pubblicare questa voce? Un abbraccio, per sempre giovane Nellie, che con i tuoi 155 anni surclassi alla grande tanti sedicenti contemporanei!