25 Febbraio 2016

La mia Caira…

di Giuseppe Trelle
La rinascita del nostro paese, in sostanza, è passata attraverso i grandi sacrifici di ben tre generazioni… lo tengano ben in mente i giovani di oggi

un racconto di vita vissuta

Caira, uno spicchio di terra a cui sono legati i ricordi più intensi della mia infanzia e della mia adolescenza. I miei pensieri vanno a ritroso nel tempo.

Agli inizi degli anni sessanta, con enormi sacrifici dei miei nonni e dei miei genitori lasciammo la vecchia abitazione del “Capocroce” e ci spostammo in una delle prime case nate dalla dolorosa quanto inevitabile ricostruzione in via del Pozzo. L'immobile realizzato dalla ‘Impresa del paese’ di zio Benedetto Vecchio, era uno splendore rispetto alla vecchia casa. Mi colpì particolarmente il bagno interno, con tutti i sanitari bianchi fiammanti. Ma per beneficiare dell’acqua corrente dovemmo aspettare ancora qualche anno fino a quando, Don Crescenzo e Zi Binda, fecero un blitz in Comune ed il Sindaco, Domenico Gargano, ci regalò le cannole di ferro come gesto magnanimo verso il nostro rione (il mese dopo si votava!).Tutti insieme, da Biscetta a Orazio Vecchio, scavammo a mano lungo la strada per avere l’acqua corrente. Il mio sogno era quello di fare un bagno caldo nella vasca bianca; ma dovetti aspettare l’inverno successivo, perché l’estate c’era sempre" la conca al sole" per risparmiare la corrente (primo rudimentale utilizzo di energia elettrica alternativa).

Nel 1959, terminai l’asilo con la mia stupenda maestra, fino a qualche anno fa ultra novantenne, che mi adorava tanto da chiamarmi ‘Filiberto’. Nel 1960 intrapresi il mio percorso di studi; iniziai a frequentare la prima elementare con il famosissimo maestro Rolando Tortolano, insegnante venuto dai Castelli romani, insieme alla moglie, presso la scuola di Caira. Questi due giovani docenti affiancavano autentici pilastri storici dell’educazione e della formazione come la maestra Maria Qualzetti e Emilia Terracciano, tanto che ben due generazioni di cairesi hanno poi beneficiato di questo prezioso percorso etico e culturale. Il maestro Tortolano si rivelò subito ‘sui generis’; era molto creativo e sensibile al fascino dell’arte e della recitazione tanto da coinvolgermi profondamente in questa sua passione che ancora oggi infiamma il mio cuore. Oggi, a distanza di cinquantacinque anni, posso affermare in maniera convinta che ‘Il teatro apre la mente e fortifica le conoscenze’. Ma del Maestro, oltre al teatro e alla cultura, ricordo anche le tante bacchettate ricevute; certo non erano quelli i tempi in cui i figli potevano sperimentare l'onnipotenza che viene garantita oggi dai genitori. In quegli anni guai tornare a casa e protestare … si prendeva il resto.

Erano quelli gli anni sessanta, gli anni di una lenta e difficile ricostruzione della nostra Caira. Il paese viveva con grande dignità la difficile ripresa del dopoguerra. Si raccoglievano schegge di ferro, si viveva di agricoltura attraverso il mercato del baratto. Tutta la nostra comunità, silente ed operosa, tentava di ripartire. A quei tempi l’emigrazione la faceva da padrona: Francia, Svizzera e Germania erano le mete ambite dei genitori dei figli della mia generazione che per trovare una occupazione e  poter migliorare la propria condizione sociale erano pronti, non senza dolore, a lasciare luoghi ed affetti cari. I più temerari, poi, tentarono strade più ardite come l’America e l’Australia. Erano oggettivamente anni difficili, ma che tutti abbiamo vissuto con grande dignità collettiva.

Punto di riferimento era la parrocchia con l’Azione cattolica; ad animarla erano due giovani studenti universitari, Angelo Picano e mio zio Antonio Trelle. Il momento massimo di socializzazione era la sera in piazza S. Basilio, presso la mitica sezione della Democrazia Cristiana che disponeva di un grande televisore, posizionato in alto, in bianco e nero. Pasquale Diluzio, zi Saverio Leva e Carminuccio Miele erano i gestori della sezione; disciplinavano l’ingresso serale con precedenza agli anziani e alle donne, poi noi ragazzi seduti per terra davanti ad assistere ai mitici caroselli e poi alle puntate del ‘Tenente Sheridan’ con Ubaldo Lai o ai famosi colossal “Fronte del Porto” e Roma città aperta”. Come dimenticare poi, le lacrime in penombra di Braciola, la signora ostetrica ‘la levatrice’ e zi Vincenza con Nina Leva e Crucetta che singhiozzavano facendo commuovere tutti i presenti.

Dolce il ricordo delle persone e dei personaggi dell’epoca: da Zi Mafalda a Prusctella e Marziella da zi Salvatore ‘visciarella’ l’esattore comunale, alle baruffe di zi Pasquale ‘Pelleccia’ le burlate di ‘Mezzone’, la sagacia di zi Antonio Testa. Indelebile il ricordo di zi Angela la sarta, capural, capustrina e zi sarafin. La battagliera Luciberna prima e zi Bonda dopo. Austero e rigoroso il maestro Toselli Saragosa. Molto inviso da noi ragazzi Zi Antonio Vizzaccaro ‘gli gialler(o)’ per il palloni sequestrati al Vallone ‘Iatvenn(e)! Mavetà rpaiar(e) glu rann!’ (VE ne dovete andare! Mi dovete riparare prima il danno!). Intensa è ancora la memoria di figure come la Signora Sara, il direttore postale Don Filippo Occhiuto venuto dalla Calabria detto ‘Scutron(e)’, il Dott. Capaldi, medico condotto. Il postino del paese,un autentico anfitrione, Zi Firel Leva. La pensione ai miei nonni gli veniva recapitata sempre il giorno che si infornava il pane e la frase di rito in quella occasione era ’zi mari set infurnat na pizza pur p mè!’ come non citare, inoltre, la mia seconda mamma, mia nonna ‘Trippetta’, zia Giovanna la tabbaccara, zi Pietro ‘gliu cecat’ e il fratello ‘ciccione’, zi Giovanni ‘il pozzo’. I giovani buontemponi dell’epoca “zio Geppino”, Silvestro detto “Ciocia longa” e l’indimenticabile toscanaccio Gioacchino. E poi il primo creatore del commercio etico 'Serafino Vecchio' che attraverso una rateizzazione sostenibile(infinita) forniva la merce a tutta Caira favorendo la ripresa dei consumi dell'epoca.Il 'senzale' mediatore' comunista integerrimo' zi Giuseppe 'BO' che tutte le domeniche si recava a Cassino in bicicletta a ritirare il giornale' l'unità' per distribuirlo ai compagni di Caira tenendoli costantemente informati sulla 'Dottrina'.

Nella primavera del ‘63 terminarono i lavori di costruzione del cimitero militare tedesco e mio padre rimase senza lavoro. Insieme a Gioacchino Vitali seguì la ditta madre in Germania. Dopo pochi mesi mio padre fece ritorno al paese; aveva deciso di portare con sé anche mia madre, una  persona molto dolce e mite, che lasciò un vuoto infinito nel mio cuore; seguì mio padre lavorando nella famosa fabbrica di televisioni Telefunken. Mio fratello di appena tre anni fu affidato ai miei nonni paterni: Anna e Luigi, con la bisnonna 'Trippetta'; io fui mandato in collegio dai padri carmelitani scalzi....nel convento del Deserto di Varazze e poi ad Arenzano per le medie nel santuario del Bambin Gesù di Praga.

Avevo dieci / undici anni e come è ovvio non potevo avere chiara consapevolezza dei fatti, degli avvenimenti e delle decisioni di quegli anni. Percepivo solo che tutto era funzionale al miglioramento della nostra condizione sociale. Eravamo come le api laboriose. Tutti uniti in un unico intento: ripartire, ricostruire, istruirci per progredire. La rinascita del nostro paese, in sostanza, è passata attraverso i grandi sacrifici di ben tre generazioni… lo tengano ben in mente i giovani di oggi troppo fragili e vulnerabili!

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