17 Aprile 2021

Il cimitero fantasma

di Franco Moraldi
Questa volta il nostro amico Ferruccio ci guida fino al Monte Zebio sull’ Altopiano di Asiago

…Beh, che strano titolo: forse più adatto ad una novella gothic o ad un bel vecchio numero di Tex che alla terza tappa del nostro viaggio che “insegue” storie della Grande Guerra -non sempre note- per permetterci un doveroso esercizio della memoria proprio nei luoghi in cui quelli eventi accaddero.

Invece, questo titolo inquadra perfettamente una storia che ha dell’incredibile, per come mette assieme tante altre storie in un intreccio di vicende diverse che si sviluppa in mille direzioni, indifferente com’è ai troppo banali e prevedibili vincoli imposti dai confini di luogo e …. di tempo!

Questa volta il nostro amico Ferruccio ci guida fino al Monte Zebio sull’ Altopiano di Asiago, un ambiente roccioso e impervio che fu inondato, fra il 1916 ed il 1917, dal sangue di giovani italiani ed austro-ungarici che vi combatterono estenuanti battaglie, solitamente nel buio della notte fonda anche a – 25 gradi, ora all’attacco ora in ritirata tra reticolati di filo spinato, raffiche di mitragliatrici e assalti all’arma bianca.

In questi luoghi di autentica macellazione per generazioni di ventenni si trovò a combattere, lasciando un’impronta nella Storia, la Brigata Sassari: un reparto costituito da pochi anni e, per l’appunto, esclusivamente da giovani sardi che, volontari, riuscivano così a mantenere le proprie radici isolane pur in un’Italia oramai unificata anche in ambito militare.

Una loro caratteristica fu la tenacia assoluta nel combattimento: forse più a loro agio con la baionetta che con il fucile, questi ragazzi – pastori e contadini - sbattuti a uccidere o a morire così lontano da casa dovettero apparire come la personificazione della ferocia se i nemici parlavano di loro come dei “diavoli rossi” (dimonios in sardo), riconoscibili dal colore delle mostrine bianco rosse.

I resoconti delle loro vicissitudini talvolta sembrano provenire dalla tragedia greca (capitò pure che lo scoppio di una mina causato da un fulmine seppellisse vivi soldati ed ufficiali che la stavano predisponendo o che durante un assalto il fuoco di artiglieria cosiddetto amico ne decimasse le fila ) e contribuì a renderli famosi sulle pagine dei quotidiani – non solo italiani- dell’epoca.

Diventarono così protagonisti ignari di un’epopea che li avrebbe sicuramente  stupiti,  poveri soldati quasi tutti analfabeti: ammoniva un proverbio dell’epoca che  “la guerra la fa il contadino”!
Una vicenda unica quella di questi ragazzi in guerra - non a caso ha dato la possibilità al loro tenente Emilio Lussu di scrivere “ Un anno sull’altopiano”, vero capolavoro del 900-   che non smette di presentare elementi incredibili, come il particolarissimo legame che si instaurò fra culture così distanti quali quella veneta e quella sarda: probabilmente non era facile neppure comprendersi tra quei 2 mondi che invece  si strinsero così saldamente che una signora borghese di Bassano, Maria Teresa Nardini, decise di “adottare” questi giovani militari, ospitandoli – feriti- nella propria villa e provvedendo poi a sostenere le famiglie dei dispersi o i piccoli orfani.

Davvero un rapporto stranissimo in grado di superare, si diceva, i confini geografici e quelli temporali: sembra davvero la trama di un film, ma accadde pure che nell’infinito tributo di sangue della Brigata (furono 6000 i morti in 400 giorni di combattimento) 212 vittime fossero sepolte in una fossa comune: un piccolo cimitero di guerra approntato alla meno peggio di cui poi, per i furibondi cannoneggiamenti seguenti, si…persero le tracce! Fu necessario attendere poco meno di un secolo perché visitatori in pellegrinaggio su quei luoghi fossero colpiti da 2 croci e da un muretto a secco: “indizi” che permisero di riaccendere la luce su quella storia e di onorare la memoria dei dispersi “dimonios”.

Oggi quei ragazzi sono allineati militarmente, anche se per 35 di loro non si è arrivati alla identificazione e, incredibilmente, non sono sepolti fuori dalla loro isola: i comuni dell’Altopiano hanno infatti donato quel terreno ai comuni della Sardegna: quasi normale che quei ragazzi che all’attacco gridavano “Avanti Sardegna”, anziché “Avanti Savoia” si sentano, per sempre, a casa.