31 Dicembre 2016

I Maya. Il linguaggio della bellezza

di Redazione Cralt Magazine
Al Palazzo della Gran Guardia Verona la mostra si articola in sei sezioni tematiche che raccontano la cultura maya, la decorazione dei corpi, gli abiti e gli ornamenti

La mostra “Maya. Il linguaggio della bellezza” sarà un’occasione per conoscere nel dettaglio molti aspetti di questo popolo dell’America precolombiana, grazie alle più recenti scoperte in ambito archeologico.

Organizzata da Arthemisia Group e Kornice, realizzata dall’INAH (Instituto Nacional de Antropología e Historia), l’istituzione più importante del Ministero della Cultura del Messico, con la curatela di Karina Romero Blanco, l’esposizione è il risultato della particolare attenzione per le tematiche specificamente artistiche della civiltà maya e presenterà oltre 250 reperti (sculture in pietra, stele monumentali, elementi architettonici, figurine in terracotta, vasi, maschere in giada, collane, orecchini, strumenti musicali, incensieri,) che daranno al visitatore la possibilità di esplorare gli aspetti artistici di una delle civiltà più affascinanti dell’America precolombiana, sviluppando una tematica universalmente importante, quella della bellezza.

IL CORPO COME TELA 
Gli interventi sul corpo umano, al fine di modificare l’aspetto fisico per ragioni estetiche, rappresentano un elemento comune a tutte le società, attuali e del passato. Nel mondo mesoamericano in generale e, nello specifico, in quello maya, nel quale la bellezza aveva un ruolo importante, la popolazione era solita realizzare quotidianamente acconciature per capelli e pitture su viso e corpo, riservandone invece di specifiche e particolari in occasione delle festività. Alcune di queste pratiche, come le cicatrici e i tatuaggi, hanno cambiato per tutta la vita l’aspetto delle persone che li avevano, ed erano infatti considerati espressioni visibili di identità culturale e di appartenenza sociale. Tra le modifiche permanenti hanno acquisito particolare importanza la scarificazione del viso, la decorazione dei denti e la modifica artificiale della forma della testa, lo strabismo intenzionale e la foratura per poter portare ornamenti applicati su orecchie, naso e labbra.

IL CORPO RIVESTITO 
L’abbigliamento rappresenta un vero e proprio linguaggio, con un suo vocabolario ed una sua grammatica, e, benché sembri manifestarsi nell’effimero e nel superficiale, va invece a toccare elementi essenziali e basilari. Attraverso l’abbigliamento, infatti, esprimiamo molti aspetti della nostra personalità, come la nostra cultura, la condizione sociale, la professione, la provenienza e addirittura lo stato d’animo. Così, dunque, per i Maya l’abito è indicativo dello status sociale dell’individuo.  La maggior parte della popolazione impegnata in lavori agricoli presenta un abbigliamento semplice: le donne con la tradizionale blusa chiamata “huipil” e la gonna o la tunica, mentre gli uomini con un perizoma legato intorno alla vita, e talvolta un lungo mantello sulle spalle. La classe nobile indossava costumi elaborati con accessori come cinture, collane, copricapo e pettorali tempestati di pietre preziose e piumaggi. I tessuti, ricchi di colori, erano tinti con indaco, cocciniglia o porpora, ed erano lavorate con tecniche molto complesse, come il broccato, ad esempio, e spesso presentavano integrazioni di piume.

LA CONTROPARTE ANIMALE 
Gli animali hanno sempre avuto un posto privilegiato nel simbolismo religioso di diverse culture, perché dotati di una forza vitale e fisica superiori a quelle degli esseri umani: hanno artigli e una vista acuta, possono volare e sopravvivere sotto acqua. Sono simboli e incarnazioni di energie divine che entrano in contatto con gli uomini. Molti esseri provenienti dal mondo degli animali erano considerati sacri dai Maya. Gli animali erano simboli di forze naturali e livelli cosmici, epifanie di energie divine, demiurghi tra gli dei e l’uomo, protettori di stirpi e alter ego degli esseri umani. Nella visione del mondo Maya tutti gli esseri viventi, gli animali e le piante, hanno una controparte soprannaturale, e quindi sacra. In particolare, si credeva che i governanti potessero rafforzare il loro potere ricorrendo a certe forze soprannaturali che permettessero alle loro “wayo’ob” -ovvero le loro anime- di lasciare il corpo durante la notte, e di spostarsi in modo indipendente trasformandosi in creature fantastiche dall’aspetto animale.

I CORPI DELLE DIVINITA’
I Maya adoravano molte divinità ed entità sacre di diversa natura, che potevano incarnare i poteri più grandi o essere custodi di piccole piante, di piccoli corsi d’acqua o delle montagne. Le loro rappresentazioni includono caratteristiche umane ed animali, piante e altri elementi immaginari. A questi dèi ed esseri sacri è stata attribuita l’origine di quei terrificanti fenomeni naturali di cui avevano paura e dell’espressione materiale e spirituale di tutto ciò che esiste. Il pantheon Maya è enormemente complicato, perché ne fanno parte divinità con caratteristiche contrapposte: allo stesso tempo maschili e femminili, giovani e vecchie, animali e umane, creative e distruttive, come la natura stessa a cui si ispirano. Possono anche essere divinità composite, frutto della sovrapposizione di diverse divinità, che ora siamo in grado di riconoscere grazie alle belle rappresentazioni plastiche che ci sono giunte dagli antichi Maya.

L’ARENA DI VERONA
Costruito presumibilmente nella I metà del I secolo d.C., è il monumento più famoso di Verona ed una tappa d'obbligo per chi visita questa città. E’ il quarto anfiteatro dopo il Colosseo di Roma, quello di Capua e quello di Milano e, come tutte le costruzioni adibite a spettacoli di lotte tra gladiatori e caccie ad animali feroci ed esotici, è formato da una zona centrale con sabbia (da qui l'origine del nome del complesso) ed una parte che circonda la prima, formata da una cavea a gradinate di larghezza costante. Le due parti appena descritte erano separate tra loro da un alto podio sul quale s’installavano delle reti protettive perché gli spettatori restassero incolumi, soprattutto durante gli spettacoli di caccia. Sia il podio che le gradinate sono state ricostruite e, mentre in passato le gradinate erano divise in settori orizzontali (maeniana), oggi sono un blocco unico. La sua forma ellittica era stata concepita sia per poter contenere quanti più spettatori possibile (ne poteva contenere 30 mila tutti con una buona visuale) sia perché ci fosse spazio sufficiente di movimento per chi si esibiva. Oggi si accede al monumento passando per i cosiddetti arcovoli.