08 Dicembre 2020

Rodolfo Siviero, un Indiana Jones senza frusta

di Franco Moraldi
La storia dell'agente segreto dell’arte

Dopo la recente visita all’abbazia di San Galgano, continuiamo nella nostra missione di giustizieri di quelle opere letterarie che, mirabolanti sol perché frutto di fantasie romanzate, offuscano luoghi reali o persone in carne ed ossa che hanno il solo torto di essere veri.

Empire è un periodico inglese dedicato al mondo del cinema e qualche mese fa ha “incoronato” nel personaggio di Indiana Jones il più grande eroe cinematografico di tutti i tempi. Una scelta forse scontata, visti i nobili natali (George Lucas e Steven Spielberg) del personaggio dalla doppia vita col volto di Harrison Ford, contemporaneamente compassato professore in tweed e spericolato avventuriero dalla frusta schioccante, sempre alla ricerca di opere d’arte incrociando arche perdute, tempi maledetti, attempati crociati e perfidi nazisti.

Ma, ma… quanti sanno che più o meno negli stessi anni di quelle fantasiose avventure, c’era davvero in Italia un giovane studioso con un identikit assai simile al professor Jones, tanto da essere chiamato “l’agente segreto dell’arte”?

Già, è proprio così: vi presento Rodolfo Siviero.

Come chi è?? Un bel tipo: nasce nel 1911 vicino Pisa e poi si sposta a Firenze, frequenta l’università ma forse non si laurea mai (un velo di mistero è d’obbligo in una storia di spie).

In compenso Rodolfo è davvero un agente segreto: si arruola nel Servizio Informazioni Militare ed a soli 26 anni sotto la copertura di una borsa di studio viene inviato a Berlino (toh, un po' come Indiana Jones nell’Ultima crociata) per recuperare sul campo notizie sulle imminenti mosse politiche e militari del regime nazista. Riesce a farlo fino a quando desta troppi sospetti e viene espulso dalla Germania, così torna in Italia e all’indomani dell’8 settembre entra nelle file della Resistenza.

Sembra di leggere una spy story ed invece è la vera vita di Siviero: nel 1944 imprigionato e torturato dalla milizia fascista riesce a salvarsi e poi, di fronte alla sistematica razzia e instradamento in Germania di opere d’arte italiane da parte delle truppe naziste, mette in piedi una squadra segreta di informatori che monitora i prelevamenti di quadri e statue e ne traccia i percorsi su strada o per ferrovia, “registrando” nell’ombra centinaia di convogli diretti oltre frontiera, annotandone carico e destinazione.

Una banca dati che se sul momento fu utile a “risparmiare” quei camion e quei treni dai bombardamenti aerei alleati diventerà fondamentale all’indomani della fine della guerra per recuperare un patrimonio artistico sconfinato (ben 3000 opere!) e stavolta con Siviero collaborano i Monuments men alleati: sì, proprio quelli del film di George Clooney del 2014!

Fra tutte le azioni rocambolesche di quel periodo non poteva mancare poi un “colpo” da cardiopalma: il sequestro di alcune opere di De Chirico compiuto dai nostri travestiti da ufficiali repubblichini, giocando in anticipo poco prima dell’arrivo dei veri depredatori!

E’ quindi a questo elegante e misterioso signore -nominato poi da De Gasperi ministro plenipotenziario per il recupero delle opere d’arte- che si deve per circa un trentennio il ritorno a casa dei capolavori di tanti Maestri, fra cui Tintoretto, Rubens e Tiziano.

Tutto perfetto, quindi: un bel happy end, proprio come nei film di Spielberg? Beh, non proprio, il nostro eroe, diventato personaggio leggendario in tutto il mondo, si imbatté proprio in Italia in un mostruoso nemico cui dovette arrendersi: la burocrazia.

Eh già, Siviero ritenendo che il ruolo svolto per decine di anni nella tutela del patrimonio artistico gli desse titolo all’assegnazione di una pensione dello Stato ne formulò la richiesta, affrontando così un iter amministrativo di significativa complessità e – soprattutto- rilevante tempistica che, comunque, alla fine riconobbe la fondatezza della sua istanza.

Peccato, magari, che la notifica dell’accoglimento della domanda ebbe a pervenire qualche tempo dopo la sua morte.