L’intervento condotto sulle Storie di San Francesco, narrate da Giotto nella Cappella Bardi in Santa Croce, apre un capitolo importante nella storia del restauro e costituisce una irripetibile occasione di conoscenza del maestro fiorentino, accostandoci anche al quotidiano operare di colui che fu uno straordinario innovatore. Ad annunciarlo sono Cristina Acidini, presidente dell’Opera di Santa Croce, ed Emanuela Daffra, soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure (OPD) a cui il restauro è stato affidato.
Numerose e assolutamente preziose sono le informazioni già raccolte a conclusione della prima fase del restauro avviato nel giugno 2022, in forza della collaborazione tra l’Opera di Santa Croce e l’Opificio delle Pietre Dure, con il significativo contributo della Fondazione CR Firenze rappresentata oggi dalla vicepresidente Maria Oliva Scaramuzzi, e dell’Associazione per il Restauro del Patrimonio Artistico Italiano (ARPAI) per la quale è presente la presidente Dominique Marzotto Desforges.
Il progetto viene da lontano e nasce dalla determinazione del compianto Marco Ciatti, già Soprintendente dell’Opificio, che mise a punto e firmò il primo accordo tra OPD, Opera di Santa Croce e ARPAI per il sostegno all’intervento.
L’intervento, preceduto e accompagnato da un’approfondita campagna diagnostica pianificata e condotta dall’Opificio, vede il coinvolgimento attivo di centri di ricerca e professionisti di rilevo internazionale, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio.
Sul ponteggio con Giotto e i suoi aiuti
Un restauro, dunque, che consente di salire sui ponti insieme a Giotto per ricostruire fasi operative e scelte di cantiere e immaginare l’originaria ricchezza di colori ed effetti di questo capolavoro maturo (fu realizzato sicuramente dopo il 1317), in cui l’artista piega le tecniche e i materiali della pittura a servizio di un racconto ricco di intensità, ispirato alla narrazione della vita di Francesco secondo la biografia di Bonaventura da Bagnoregio.
L’Opificio delle Pietre Dure ha utilizzato le sue competenze consolidate e ha fatto ricorso alle tecnologie più avanzate: preceduta da un’accurata fase di documentazione fotografica ad alta risoluzione in luce diffusa, radente e ultravioletta, la campagna diagnostica ha preso avvio dalle indagini strutturali, condotte mediante un’innovativa apparecchiatura no-touch e raffinate con l’ausilio di una termocamera, per comprendere le condizioni della muratura e individuare eventuali disomogeneità, costitutive o di degrado. Sulla base di un rilievo laser scanner è stato ottenuto il modello HBIM 3D dell’intera cappella sul quale integrare tutte le successive analisi.
Numerose le sorprese e tante anche le conferme riguardanti le modalità di lavoro dell’artista. È venuta alla luce una decorazione precedente, probabilmente geometrica; grazie alla termovisione sono state individuate le buche pontaie ed è stato possibile precisare l’andamento e la struttura dei palchi del cantiere giottesco: realizzati a partire dalla metà delle lunette per poter dipingere la volta e poi portati alla base di ciascuna scena. Altre tracce sono riconducibili alle sinopie e al disegno preparatorio, passaggi fondamentali per studiare la composizione pittorica delle scene sulle pareti.
Come nella prassi consolidata Giotto tracciava l’abbozzo di ciascuna scena per pianificare le “giornate” del tonachino, cioè dell’intonaco sottile su cui i pittori avrebbero steso i colori. Questa modalità permette di riscostruire il succedersi nel tempo del lavoro pittorico. La Cappella Bardi porta avanti le sperimentazioni circa l’utilizzo misto di pittura a fresco e a secco, gestito da Giotto con straordinaria capacità progettuale e tecnica.
L’intervento di restauro e le scelte per il futuro
Le diverse problematiche sono state affrontate selezionando materiali e metodologie dopo una preliminare fase di sperimentazione. Le porzioni di pellicola pittorica sollevate dall’intonaco sono state fatte riaderire al supporto con un adesivo acrilico. Per la delicata fase di pulitura sono stati impiegati impacchi di acqua calda deionizzata, mescolata a pasta cellulosica e argilla o strati di carta giapponese, mentre si è optato per solventi organici quando è stato necessario rimuovere i fissativi sintetici applicati nel corso dall’intervento del secolo scorso. Sui costoloni e sui medaglioni delle vele è stato necessario l’utilizzo dello strumento laser.
Questa prima fase, ormai conclusa, ha permesso di ritrovare nella pittura di Giotto una straordinaria freschezza e una ricchezza di dettagli - godibile in pieno soltanto in una visione ravvicinata - che è parte integrante dell’intensità del racconto, facendo ancor più rimpiangere quanto - molto - è andato perduto, che doveva impressionare per gli effetti di realismo e complessità spaziale.
Un patrimonio da condividere con tutti
La conclusione del restauro è prevista per l’estate 2025. L’Opera di Santa Croce e l’Opificio delle Pietre Dure hanno già concordato che il ponteggio di lavoro, a intervento ultimato, resti al suo posto almeno per ulteriori due mesi in modo da consentire le visite del pubblico che potrà così apprezzare l’opera di Giotto da vicino.