19 Ottobre 2016

Cultura: a Roma una figura inconsueta nell’arte funeraria paleocristiana

di Stefano Torcellan
Amici lettori di Cralt Magazine in questo articolo vi proponiamo una riflessione sul fatto che, nelle pitture catacombali a Roma, viene data una raffigurazione di Gesù davvero inconsueta tutta da scoprire



In molti anni di studi sull’arte paleocristiana, abbiamo dovuto constatare -con durevole sorpresa- che tuttora permane uno scarso interesse per le raffigurazioni di un Gesù davvero inconsueto.

Viene “disdegnato” un particolare manierismo raffigurativo, pertinente ad un determinato periodo circoscritto agli albori del cristianesimo, che consentirebbe invece di delineare una più esaustiva analisi artistica e permetterebbe di intercettare anche una possibile interpretazione dottrinale recepita da quel gruppo di fedeli.

A Roma, nelle pitture catacombali, nei bassorilievi scolpiti sui sarcofagi, nei supporti lignei ma anche nelle incisioni su lamine d’oro conglobate nel vetro, non era anomalo rappresentare un Gesù dotato di bacchetta “magica” mentre resuscita Lazzaro, trasforma l’acqua in vino e moltiplica i pani e i pesci.

Nell’apprendere ciò, forse alcuni scuoteranno la testa, ma solo perché questa enclave raffigurativa seppur sufficientemente copiosa, è poco nota e ben stemperata, quasi camuffata, nel vasto complesso artistico del protocristianesimo.

Tuttavia, coloro ai quali piacque descrivere artisticamente il loro Messia anche in questo modo, vissero tra la fine del III e l’inizio del V secolo. Furono parte di quei primi cristiani, cui sempre si è fatto riferimento come esempio di virtù e di fede indissolubile, a mettere in mano una bacchetta al Gesù fissato nell’atto di compiere “miracoli”.

Nel 380, quando il cristianesimo assurse a religione di stato nell’impero romano, questo modello iconografico, divenne “empio” e “sacrilego” e dovette essere annientato. Difatti scomparve per sempre, in modo definitivo e assoluto!

Ancora oggi, in certi ambienti, permane radicata quella stessa ripugnanza alla blasfema concezione di rappresentare il “Redentore” cristiano nelle vesti di “mago”.

Tuttavia una interpretazione alternativa potrebbe riconoscerlo anche come un “nuovo Mosè”, inteso proprio come un “nuovo” e più potente condottiero salvifico rispetto al personaggio citato nell’Antico Testamento. Secondo la Bibbia, fu proprio YHWH (il Dio veterotestamentario) a fornire a Mosè un bastone per compiere prodigi (Esodo 4,17). Potrebbe trattarsi dello stesso bastone portentoso, alleggerito per esigenze artistiche in forma di verga, che in modo figurativo è impugnato dal quel Gesù iconografico.

Sotto l’egida della Chiesa cattolica, nel corso di quasi diciassette secoli, innumerevoli artisti hanno contribuito a costituire il più grande, il più variegato e il più prezioso patrimonio artistico con soggetti religiosi mai prodotto in Europa e, probabilmente, nel mondo intero. Episodi e personaggi biblici sono stati magnificati dalla potenza creativa umana, senza troppo discostarsi dall’interpretazione assegnata al messaggio numinoso delle “sacre” scritture. Mai e poi mai si farà cenno a quella impertinente raffigurazione primigenia né si produrrà.

Ma quel Gesù “mago”, imberbe giovinetto vestito alla romana con tunica e pallio, riemerse in parte dall’oblio e in parte dalle coscienze, anche a seguito di scoperte casuali, dovute all’espansione edilizia della capitale.

Altri reperti, sono riemersi dagli scavi catacombali a partire dal XIX secolo, altri ancora dalle collezioni private, da musei nonché provenienti da manufatti esistenti da allora ma di recente e sommessa rivalutazione nella storiografia artistico-archeologica.

Con il materiale iconografico oggi a disposizione, è verosimile supporre che, nei primi secoli ed in certi contesti, tale figura fosse più consueta di quello che potremmo immaginarci.

Paradossalmente, nel coevo ambito di questa stessa arte funeraria catacombale protocristiana, ed anche più in là, tra la ricchissima produzione pittorica ctonia, non si allude mai alla resurrezione di Gesù, pur essendo il concetto teologico basilare su cui poggia la religione di Paolo di Tarso.

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