26 Maggio 2019

Morte e ri-nascita nel Cristianesimo delle origini

di Stefano Torcellan
Suggestionato da una recentissima visita nella Roma del lontano passato, l'autore non ha potuto non pensare anche ai cristiani delle origini e al loro modo di interpretare la vita e la morte

I seguaci di Paolo di Tarso, che saranno poi definiti “cristiani”, credevano non solo nell’immortalità dell’anima, ma anche nella resurrezione del corpo mortale il giorno in cui Cristo sarebbe comparso nello splendore a giudicare i vivi e i morti. Il messaggio escatologico paolino fu chiaro fin dall’inizio ed è contenuto nella “Lettera agli Efesini” 4,14: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà».

C’è anche un inquietante riferimento veterotestamentario che anticipa il magistero di Paolo, si trova in Ezechiele 37,1 ss, in cui le ossa umane inaridite e sparpagliate lungo una intera valle si ricompongono per l’intervento divino, attraverso il profeta su menzionato, e “… lo spirito entrò in essi [i morti] e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato…”.

Così come in Ezechiele, nel terrificante Giorno del Giudizio cristiano, le ossa dei morti si ricongiungeranno; la polvere diverrà carne, nervi e sangue e lo Spirito ridonerà la vita, … eterna questa volta!

Nell’attesa della Parusia (la comparsa di Gesù Cristo alla fine dei tempi per annunciare il Nuovo Regno) i corpi dei cristiani venivano sepolti integri, a differenza dei romani e dei greci che generalmente, preferivano cremarli. L’inumazione, tra l’altro, richiedeva più spazio rispetto a quello predisposto per contenere le urne con le ceneri “pagane”, anche per questa ragione, la maggior parte delle sepolture sotterranee divennero una necessità oggettiva oltre che devozionale e comunitaria, soprattutto quando gli spazi nei promiscui cimiteri subdiali (all’aperto) divennero scarsi.

A Roma, tutti i morti dovevano essere sepolti fuori dalle mura cittadine (fatte alcune eccezioni: Cesare, Traiano, Adriano, Cestio), lo prevedeva una antichissima legge detta “Delle XII Tavole” confermata successivamente da C.G. Cesare con la “Lex Iulia Municipalis”.

I corpi dei primi cristiani erano sovente collocati in cimiteri sotterranei, all’interno di lunghissime ed intricate gallerie, scavate nel tufo all’esterno della città, le “catacombe”. Le spoglie erano sovrapposte nei loculi (nicchie parietali) condivisi con i defunti di altre religioni, ebrei soprattutto dai quali, agli albori del cristianesimo, non venivano distinti dal punto di vista dottrinale.

Cymiterium Catacumbas ad Sanctus Sebastianum Via Appia”, è l’indicazione logistica contratta in “Catacombe” che con buona probabilità definì i cimiteri sotterranei, così come li conosciamo anche oggi. Il termine deriva dal greco “Katà Kymbas” cioè “presso l’avvallamento (o grotte)” posto tra due collinette, al III miglio della Via Appia.

La parola “cimitero”, invece, indica un luogo di sepoltura cristiano che, in assonanza con la visione paolina su citata, deriva anch’essa dal greco koimào, che significa “porre a giacere, addormentare, da cui coemeteriu cimitero, perché era un luogo in cui si riposava in attesa del risveglio escatologico.

Finì per sparire quasi del tutto il termine, sempre greco, di “necropolis” (città dei morti) utilizzato per molti secoli nel vasto mondo ellenistico e romano.

Per i primi cristiani, la morte e la sepoltura avevano notevole importanza poiché l’esistenza terrena era in funzione della morte/rinascita. Poco contava una vita felice nella materialità e nella ricchezza. La vera felicità si acquisiva per sempre nel giorno della morte, il vero DIES NATALI, il giorno di ri-nascita in Cristo e alla Nuova Vita nel Nuovo Regno.

E nel “dies natali”, i corpi dei morti, venivano sigillati in anonimi interstizi catacombali o in misere tombe inizialmente senza riferimento alla persona defunta, poiché l’identità su questa terra non aveva valore. Tanto che, con il battesimo, i cristiani sostituivano il loro vero nome con un nuovo nome che avesse un senso religioso, nella speranza o nella certezza di risorgere, ripristinati, dalla buia terra con la nuova venuta del Cristo Trionfante, per godere, sublimati, della felicità eterna.

Il corpo veniva percepito come una specie di “prigione dell’anima”, di platonica memoria [Cratilo, 400 c], quindi solo un mezzo attraverso il quale conquistarsi il Regno dei Cieli osservando i dettami evangelici.

Lo svilimento e la mortificazione corporale che influenzavano la vita di allora, erano ben resi dalla frase attribuita ad Agostino d’Ippona (354-430): “Inter faeces et urinam nascimur” (siamo nati tra le feci e l’urina). Con questa deprimente considerazione (secondo altri concetti esistenziali), che cosa si poteva sperare di remunerativo nel mondo tangibile? La vita quotidiana dei credenti, era infatti concepita e vissuta con gioia e armonia, ma sostanzialmente come palestra per l’aldilà!

Con il potere religioso consolidato, i cristiani vivi e parte di quelli morti, uscirono dalle viscere della terra, dove si celebravano le liturgie e si “riposavano”, per realizzare cimiteri in superficie, spesso scalzando i “pagani peccatori” dalle loro postazioni funebri.

Martiri e santi, vennero traslati, dalle loro tombe sotterranee, per essere collocati in sepolture privilegiate all’interno di chiese e basiliche predisposte per l’adorazione e la venerazione delle spoglie da parte dei fedeli