08 Aprile 2016

La scuola per il domani

di Redazione Cralt Magazine
Non solo il pragmatismo della finalizzazione lavorativa dello studio ma anche la formazione, l’educazione e l’allenamento al pensiero
In un mondo che va sempre più veloce la scuola deve essere un punto di riferimento per permettere ai ragazzi di essere capaci di affrontare le sfide sempre più grandi e nuove che la realtà pone davanti loro.
Oltre che dare adeguate basi culturali, deve soprattutto divulgare la capacità di gestire la novità, la complessità, l’imprevisto, il cambiamento situazioni queste che caratterizzano il dinamismo della società e del mondo del lavoro.
La sfida dell’intelligenza, della lucidità e dello sviluppo personale. È questa la sfida delle sfide per la scuola del futuro; sfida della ricerca del “senso”, scegliere se la scuola intende veramente trasmettere alla prossima generazione quello che la presente crede di avere elaborato o ereditato di più profondo ed essenziale.
La scuola non si può certo esimere dal riproporre ai più giovani i grandi interrogativi sul senso del mondo, della vita e della morte, del piacere e del dolore, della costruzione del sé individuale o del diluirsi dell’individuo in realtà collettive, dell’utilità dell’azione o invece della totale cessazione di ogni attività per abolire la sostanza stessa della sofferenza. Ricordare queste domande, ma anche indicare almeno delle risposte pensate durante secoli e millenni (risposte filosofico-religiose, risposte scientifiche, risposte frutto dell’esperienza pratica e dell’intuizione delle generazioni che ci hanno preceduto) diventa, seguendo questa concezione, doveroso, almeno per le scuole secondarie e per l’università.
Non solo il pragmatismo cieco e bieco della finalizzazione lavorativa dello studio ma anche la formazione, l’educazione e l’allenamento al pensiero, anche e soprattutto critico, risulta fondamentale per non produrre una cultura meccanica e standardizzata che ci potrà portare anche all’invenzione del nuovo e fenomenale processore del futuro o all’applicazione di algoritmi futuribili con precisione mnemonica, robotizzata.
Come fare? Innanzitutto, creando i più grandi collegamenti possibili tra le diverse discipline, in particolare tra le scienze umanistico-sociali e quelle esatte e naturali. Ciò significa, ovviamente, andare verso l’interdisciplinarietà, pur essendo consapevoli che i ricercatori stessi hanno le più grandi difficoltà a realizzarla.
Una soluzione potrebbe concretizzarsi nel saper integrare nella trasmissione didattica delle scienze umane e sociali quella chiarezza, trasparenza e precisione e quello scrupolo di verifica che dovrebbe costruire lo stile specifico delle scienze esatte e naturali e, d’altro canto, immettere o infondere a queste ultime la riflessività (sul sapere stesso, su di sé e sul mondo) e il senso della complessità che differenziano i migliori approcci umanistici e sociali.  
Le possibilità di nuovi campi del sapere da tradurre in contenuti scolastici non sono poche: tecnologia o antropologia, iniziazione alle scienze mediche, sociali o a quelle della comunicazione, ritorno alle scienze umane incentrate sulle lingue e sulle culture “classiche” (per es. greco-latine) o introduzione a quelle economiche. La sfida consiste qui nel chiarire i criteri necessari per capire realmente il “potenziale didattico” di una disciplina scientifica, che non corrisponde necessariamente né al suo potenziale scientifico, né al suo prestigio sociale.   
Aprire la formazione all’alterità culturale e attualizzare la “cultura scolastica”. È cosa futile rilevare che al giorno d’oggi siamo sempre più confrontati, sia direttamente a causa dell’immigrazione, della mobilità creata dal turismo e delle relazioni commerciali, sia indirettamente, in particolare tramite i media, a molti contenuti culturali assai differenti da quelli che formano la nostra cultura tradizionale (intesa, qui, in senso antropologico largo): altri concetti, per noi comuni, come quelli che stanno alla base delle grandi filosofie orientali, ma anche altri codici culturali, linguistici, grafici o musicali, altri tipi di conoscenze sulla natura, dell’uomo e sulla sua psicologia, altri atteggiamenti cognitivi (per esempio quelli che non privilegiano sistematicamente, come facciamo, il ragionamento binariovero/falso”, “giusto/sbagliato”, “bene/male”), altre rappresentazioni di sé e degli altri - che mettono a volte l’accento su un individualismo o su un comunitarismo esacerbato, per noi inusitato -, altri credi e credenze religiose, altre norme, altri gusti estetici, riti, personaggi e oggetti emblematici, altre parabole, allegorie e metafore, altre “saggezze” popolari e naturalmente altre opere letterarie, musicali, artistiche, architettoniche.
Se è chiaro che la scuola non può, né deve, semplicemente proporre un contenitore di contenuti culturali diversi, è meno evidente che essa debba essenzialmente limitarsi ai soli contenuti collegati all’area culturale europea, industrializzata o magari ad aree ancora più ristrette, ad esempio quelle nazionali o locali.
Su una cosa non ci sono dubbi: la necessità che la “cultura scolastica” sia attualizzata, messa cioè in relazione con le molteplici altre possibili scelte culturali; anche perché le influenze e gli apporti reciproci tra altre aree culturali sono ormai evidenza storica, sociologica e antropologica. 
Sono queste le vere sfide della scuola di domani, ma forse già di quella attuale.